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COSENZA – Lo chiamano il killer invisibile. È il radon, gas radioattivo di origine naturale, privo di odore, colore, sapore che in ambienti chiusi può raggiungere concentrazioni pericolose per la salute. Ci arriva dall’uranio presente nel suolo, nelle rocce e nei materiali di costruzione e rappresenta il secondo più importante fattore di rischio per il tumore al polmone: su 40mila nuovi casi che si registrano in Italia ogni anno, incide per il 10 per cento.

In Calabria questa stima oscilla tra il 4 e l’8 per cento. «Ma lasciate perdere la forbice – avverte Salvatore Procopio, fisico dell’Arpacal – e concentratevi sull’estremo maggiore. In Calabria c’è la stessa incidenza registrata in Lombardia e in Piemonte, ma in pochi lo sanno». Perché per anni ci è stato detto che la Calabria per il radon era a rischio zero, con una concentrazione che non andava al di là dei 20 o 25 becquerel (Bq) al metro cubo. Le misurazioni dell’Arpacal, però, dicono altro. «La media regionale, per le abitazioni, è di 86 bq al metro cubo contro una media nazionale di 70. Nelle scuole è di 120» continua Procopio. Dati che sono al di sotto del limite di legge di 500 bq/m3 prescritto per gli ambienti interrati e seminterrati dei luoghi di lavoro – gli unici per i quali esiste al momento in Italia una normativa in materia di radioprotezione – ma che contrastano con la tesi del rischio trascurabile nella nostra regione.

«La Calabria, dal punto di vista geologico, è un pezzo di Alpi, quindi è fatta di granito. E granito significa anche uranio. Se aggiungiamo la presenza di faglie importanti che attraversano la regione, capiamo anche come il radon possa raggiungere facilmente i piani interrati e seminterrati degli edifici» spiega ancora Procopio. Un quadro che dovrebbe spingere la Regione ad avviare una mappatura e a dotarsi di un piano.

IL CASO CELICO – L’Arpacal ha avviato una campagna di rilievi, che conta al momento 1085 punti di misura, tra luoghi di lavoro, scuole e abitazioni. «Non copre ancora tutta la Calabria e manca del tutto la provincia di Reggio, ma presto inizieremo anche lì» ci dice Procopio. Non mancano, però, le buone prassi. Una di queste arriva da Celico, nella Presila cosentina, uno degli 80 Comuni che nel 2015 ha risposto all’invito dell’Arpacal per avviare un monitoraggio (e in Calabria i Comuni sono più di 400). A Celico gli esperti hanno scoperto che all’istituto comprensivo le concentrazioni di radon raggiungevano i 1000 bq/m3 e hanno avviato una bonifica che ha reso la scuola da quest’anno di nuovo fruibile. Conoscere il radon per imparare a difendersi, quindi. Ci sono anche alcune buone norme che da cittadini si possono seguire. Far arieggiare i locali in cui si vive e lavora, ad esempio. E se si sta costruendo una casa, farla sollevare dal terreno.

IL PROGETTO RADIOLAB – Tutte queste cose Procopio le ha raccontate ieri nell’aula magna dell’Unical che, in occasione dell’European Radon Day, ha ospitato i quattro licei calabresi protagonisti del progetto Radiolab. Nel corso dell’ultimo triennio studenti e studentesse del liceo “Fermi” di Cosenza, del “Guarasci” di Soverato, del “Berto” di Vibo e del “Volta” di Reggio Calabria hanno condotto misure esplorative di concentrazione del gas radon in ambienti chiusi e in acqua sorgiva, seguiti dall’Istituto nazionale di fisica nucleare (Infn) e dal dipartimento di Fisica dell’Unical. «È un progetto nazionale, che ha coinvolto 5mila studenti in tutta Italia e ora si è esteso anche all’Ecuador» spiega Marcella Capua (Infn), prima di lasciare podio e microfono agli studenti che si sono rivelati non solo provetti ricercatori ma anche bravi divulgatori. Non solo hanno fatto le misurazioni, ma hanno anche analizzato i dati, condotto interviste, curato la comunicazione dell’evento, esplorato il lato sociale della scienza. Le loro rilevazioni sono in linea con i dati Arpacal. Le misure – che hanno interessato alcuni comuni del reggino, del vibonese, del soveratese e del cosentino – sono in generale quasi tutte sotto i limiti di legge. Alcune criticità sono emerse da Condofuri (un’abitazione privata), dalla fontana di Straorino (le cui acque non sono comunque usate dalla popolazione perché non sono monitorate biologicamente), da Vibo (la cantina di un’abitazione), da Dasà (una fontana che poggia su granito e che sarà oggetto di altre misurazioni). Tutti nei limiti i risultati dei rilievi a Cosenza e hinterland, ma si è in attesa dei dati del secondo semestre.

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