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Il tribunale di Cosenza

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COSENZA – Sono 290 le pagine dei verbali illustrativi di Roberto Presta, pentito di Roggiano Gravina, che in sei mesi di collaborazione con la giustizia ha ricostruito le dinamiche criminali del gruppo che, a detta della Dda di Catanzaro, è capeggiato dal fratello Antonio.

I racconti di Presta, scorrendo i verbali, sono pieni di precisazioni. La prima: “Con riferimento al tema dell’associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti operante nella “Valle dell’Esaro”, del quale sono a conoscenza, confermo quanto dichiarato, eccetto le seguenti precisazioni”. E spiega: “Con tale frase mi riferivo alla circostanza per cui, avendo una posizione di primo piano ai vertici dell’associazione finalizzata al traffico di stupefacente, ero autorizzato a vendere una parte dello stupefacente per conto mio, fermi restando i compiti e il ruolo miei propri, all’interno dell’associazione che ho specificato nel corso dei precedenti interrogatori”.

La seconda: “I vertici di questa organizzazione erano mio fratello Antonio e mio nipote Giuseppe”. E chiarisce: “Con tale frase intendevo evidenziare che le persone dotate di massimo potere decisionale all’interno dell’associazione erano, appunto, mio fratello Antonio e mio nipote Giuseppe, cui aggiungo anche Francesco Ciliberti, in virtù del suo essere sposato con la figlia di mio cugino Franco Presta. Subito dopo di loro, in ordine di importanza, ci sono io, che, come ho riferito più volte, operavo in stretto contatto con Mario Sollazzo, che aveva un’importanza pari alla mia”.

Facendo seguito a questa dichiarazione, Roberto Presta fornisce la terza precisazione: Francesco Ciliberti, genero di Franco Presta, “non era uno spacciatore ma, come ho detto prima e più volte, un elemento di vertice dell’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti”.

La quarta: “Lo spaccio di sostanze stupefacenti era la nostra unica attività”. E corregge così il tiro: “In realtà, come ho anche già detto, lo spaccio di droga non era affatto l’unica attività illecita portata avanti dal nostro gruppo criminale, con quella frase intendevo, al più, riferirmi al dato per cui dallo spaccio di stupefacenti derivava la parte più consistente delle nostre entrate economiche”.

Poi ancora su “Ciliberti” che “mandava Michele Fusaro ad avvisarci degli appuntamenti con Giannetta per la consegna della droga”, avvenuto “in due occasioni”. E aggiunge: “È stato lo stesso Mario Sollazzo a dirmi che i due chili di marijuana trovati a Gioiello e per i quali quest’ultimo era stato arrestato, era stato lui stesso a cederglieli. Da qui la nostra preoccupazione, trattandosi di droga della nostra associazione”.

Ancora Presta: “A ritirare le partite di stupefacente, mio fratello Antonio Presta, mi mandava vicino San Lorenzo del Vallo ad incontrare Antonio Giannetta, proveniente dalla provincia di Reggio Calabria». Presta dice di averla ritirata “cinque o sei volte”, mentre in altre occasioni “andavano mio nipote Giuseppe e Francesco Ciliberti, che unitamente a mio fratello, ne concordava l’acquisto e la modalità”.

E poi “Conosco Marco Patitucci, lo stesso spaccia stupefacenti a San Marco Argentano. So che ha litigato per questioni legate allo spaccio di droga e che Mario Palermo gli ha incendiato la casa”. Il pentito di Roggiano Gravina dichiara anche che ci sarebbero stati dissidi con alcuni soggetti e Costantino Scorza, il quale avrebbe voluto prendere maggior spazio nello spaccio di droga, ma Francesco Ciliberti avrebbe rasserenato gli animi, in quanto, «rispetto agli altri spacciatori, aveva un ruolo superiore”.

Presta parla anche dei Black Berry e di Mauro Marsico “intimo amico di mio fratello” che avrebbe spacciato droga. Infine racconta il furto di un’auto a Cosenza, che avrebbe infastidito i Presta. “Ricordo la vicenda del furto di un’autovettura in danno di un avvocato di Cosenza, una donna originaria di Roggiano Gravina”. Il fratello della donna sarebbe andato da Antonio Presta “per cercare di recuperare il veicolo”. E “mio fratello Antonio mandò” il ragazzo “accompagnato da Mario Sollazzo e Mauro Marsico per parlare con Giovanni Garofalo e successivamente” con il figlio di Carlo Lamanna.

“Successivamente mio fratello mi disse di andare lo stesso a Cosenza con Mario Sollazzo” il fratello della donna, “per parlare eventualmente con Roberto Porcaro. Andammo da Giovanni Garofalo e trovammo anche Francesco Lamanna che ci dissero di aver rintracciato la macchina e che per riaverla avremmo dovuto pagare 1000 euro a titolo di estorsione. A tale richiesta mi alterai poiché avevano chiesto l’estorsione a noi Presta, gruppo delinquenziale. I richiedenti sapevano bene chi eravamo noi ma vollero lo stesso i soldi”.

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