X
<
>

Il corpo dei Bergamini coperto dopo l'incidente

Condividi:
5 minuti per la lettura

COSENZA – Ci sono un carabiniere, un medico e un pubblico ministero nella morgue di Trebisacce. Non è l’incipit di una barzelletta lugubre, ma il secondo atto di una tragedia. È il 19 novembre del 1989, e i tre non sono soli in quello stanzone d’ospedale: con loro c’è anche un corpo privo di vita, quello di Donato Bergamini, deceduto la sera prima sulla Ss 106, all’altezza di Roseto Capo Spulico, sotto la ruota anteriore destra di un camion in transito.

La mattina successiva è in corso l’ispezione cadaverica e il dottor Antonio Raimondi detta il referto che il maresciallo Carbone trascrive su carta intestata della Procura sotto la supervisione del pm Ottavio Abbate. Sembra una pratica routinaria, ma trentatré anni dopo si trasforma in un gioco degli equivoci fino a diventare un nuovo capitolo del mistero. Ieri, infatti, Carbone e Raimondi si sono ritrovati in tribunale sulla scena del processo contro Isabella Internò, l’ex fidanzata del calciatore oggi accusata di aver inscenato il suo investimento per coprire quello che in realtà è stato un omicidio premeditato. In sintesi, uno strangolamento «soft» mascherato da suicidio.

E secondo la Procura attuale, anche quel documento medico-legale redatto all’indomani della morte dell’atleta può far parte della presunta macchinazione. La sponda l’ha offerta proprio Raimondi nel 2017, perché sentito dalla polizia giudiziaria nega di aver partecipato a quell’accertamento. «Non sono un anatomopatologo, quella che leggo non è una terminologia che mi è propria» disse all’epoca, e lo ha ribadito anche ieri in aula.

All’epoca prestava servizio al Pronto soccorso, un piano in su rispetto all’obitorio, e sostiene di essere stato chiamato da «un inserviente forse» perché «alcune persone importanti» volevano parlare con lui. Bergamini, dice di averlo visto solo di sfuggita, ma di non averlo toccato, né di aver eseguito ispezioni sul suo cadavere. Cosa c’è scritto allora quel verbale di ispezione? Il pm formula dei quesiti relativi al possibile orario della morte nonché alle cause, e il medico risponde: «Arresto cardiocircolatorio» determinato dall’investimento del mezzo pesante. Su quel verbale si da atto poi di aver tastato la mano di Denis – la cosidetta digitopressione – per valutare la natura delle ipostasi e, dopo un accenno alla rigidità degli arti inferiori, si parla della presenza di «politraumi in diverse parti del corpo».

Per Raimondi, nulla di tutto ciò, considerato che lui Bergamini sostiene di averlo visto appena ma di non averlo mai sfiorato. L’audizione di Carbone non ha diradato le ombre, anzi le ha addensate. L’ex comandante della stazione di Trebisacce, interrogato anche lui nel 2017, disse di ricordare che quel giorno, con lui e Abbate, c’era proprio Raimondi, ma ieri non era più così sicuro. «Forse si attendeva l’arrivo di un medico legale da Bari».

È tornato poi alla versione iniziale, ribadendo come anche a suo avviso nessuno dei presenti abbia messo le mani su quel corpo. Il confronto all’americana fra i due, disposto dalla Corte d’assise, non ha risolto il dilemma, ragion per cui su richiesta dei difensori della Internò, i giudici hanno convocato d’urgenza Abbate. «Non comprendo le ragioni per le quali si dovrebbe dubitare dell’autenticità di questo documento» ha detto fra le altre cose, rispondendo alle domande che accusa, difesa e parte civile gli hanno sottoposto a turno.

Nei suoi ricordi, quell’ispezione cadaverica fu disposta per decidere se eseguire in seguito l’autopsia. Il responso fu negativo perché «non c’era alcun elemento per dubitare che i fatti fossero andati diversamente da come li avevano raccontati i testimoni», e a ciò si aggiungevano anche una serie di evidenze, prima fra tutte il corpo di Denis ridotto in quello stato.

L’addome confuso con il torace, traumi descritti come «multipli» che invece erano localizzati solo nel punto in cui la ruota sormontò il corpo, l’assenza della firma di Raimondi sul verbale (erano presenti però tutti i suoi dati anagrafici, indirizzo di residenza incluso): a questi dettagli si sono richiamati accusa e parte civile per metterlo in difficoltà, ma a loro l’ex pm ha ricordato che «un mese dopo – in realtà erano trascorsi solo nove giorni, ndr – diedi disposizioni di effettuare l’autopsia, anche perché l’opinione pubblica si poneva molte domande, la posizione della famiglia Bergamini era mutata, e non volevo che quel mancato accertamento fosse percepito come un intralcio alla giustizia. A garanzia di ulteriore trasparenza, delegai però il pm di Ferrara, luogo di residenza della famiglia Bergamini».

Sarà il Tribunale ferrarese, in seguito, a nominare il consulente medico, e ea da sé che in presenza di un esame autoptico il verbale d’ispezione cadaverica diventi già all’epoca un documento superato; dopo più di trent’anni non è più così. «Ma per quale ragione poi si dovrebbe dubitare della sua autenticità?» ha ribadito Abbate, ed è una domanda alla quale nessuno osa rispondere, soffia ancora in aula e nel vento. E a proposito di autopsia: il testimone ha fatto accenno anche a una conversazione intrattenuta a caldo con Domizio Bergamini, il papà di Denis, che in presenza dell’allora presidente della società del Cosenza, Antonio Serra, gli avrebbe chiesto di non effettuare quell’esame sul corpo di suo figlio.

Una circostanza contestata dall’avvocato Fabio Anselmo: «Non voleva che fosse eseguita a Castrovillari?» ha domandato il legale di parte civile, ma al riguardo Abbate ha citato testualmente le parole dell’ormai defunto genitore: «Dottore, se avete deciso di fare l’autopsia, non fatela. Evitatemi questo strazio». Nel 1989 Ottavio Abbate era l’unico magistrato inquirente in servizio a Castrovillari, città all’epoca orfana di un procuratore della Repubblica. Non ha una scorta, ma ciò non gli impedisce di guidare la prima inchiesta antimafia che porta all’arresto e poi alla condanna di Giuseppe Cirillo, allora boss indiscusso della Sibaritide e collegato alla camorra di Cutolo. In seguito diventerà presidente del tribunale di Sala Consilina e poi di quello del Pollino. È in pensione dal 2016.

Condividi:

COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA

EDICOLA DIGITALE