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Parte del monumento rimossa nel 2017

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COSENZA – Otto anni di disinteresse e abbandono, perseguiti con ostinazione quasi diabolica, e alla fine ci sono riusciti: il monumento alla memoria di Sergio Cosmai, eretto nel 2013 in fondo al viale che porta il suo nome, è ormai buono per il ferrovecchio. Un’opera sfortunata, così come sfortunato è l’uomo al quale è (era) dedicato: il direttore del carcere di via Popilia trucidato il 12 marzo del 1985 da un commando di ’ndrangheta formato da Stefano Bartolomeo e Dario Notargiacomo, con il fratello di quest’ultimo – Nicola – in aggiunta. Appartengono a loro le tre sagome raffigurate nell’atto di premere il grilletto, circostanza che, all’epoca, fece storcere il naso ai critici.

«Così si celebrano i killer, non la vittima» aveva evidenziato più d’uno, compresa Tiziana Palazzo, la vedova del direttore: ma più che un monumento al crimine, quello di Cosmai era destinato a diventare un monumento all’insensibilità. Eppure, quando il 12 marzo del 2013 la statua viene posizionata al centro della rotonda con un’inaugurazione solenne, sembra che quella cerimonia debba sanare una ferita trentennale.

Nel corso degli anni, infatti, i familiari del direttore si erano lamentati spesso per la memoria corta della città in cui il loro congiunto aveva pagato con la vita la sua scelta di legalità: ristabilire l’ordine all’interno della casa circondariale, privando boss e picciotti di privilegi assurdi quanto antichi. Fu per questo che, all’epoca, decisero di fargliela pagare.

Oltre alle tre sagome, l’opera – costata poco meno di quarantamila euro – consisteva anche in una lunga striscia in metallo che avvolgeva l’intera rotatoria su cui era inciso un aforisma a firma dello stesso Cosmai. Ventotto anni dopo, dunque, Cosenza celebra finalmente uno dei suoi martiri, ma – dicevamo – la sfiga, o maledizione che dir si voglia – è dietro l’angolo. Pochi mesi dopo, a ottobre, due giovani perdono la vita cadendo da un motorino proprio ai piedi di quella rotatoria.

A finire nel mirino, fin da subito, è la scarsa sicurezza dell’area e, in quel contesto, gli inquirenti sottolineano come anche il monumento rappresenti un potenziale pericolo. Il Comune decide di rimuovere il manufatto: via la scritta, dunque, tra le rassicurazioni degli amministratori che parlano di «soluzione solo provvisoria» e promettono di dare al più presto una nuova sistemazione alla stele.

Passano altri quattro anni senza che una sola voce si levi dall’opposizione per chiedere conto al sindaco e ai suoi assessori di quella promessa mancata finché proprio Occhiuto, a marzo del 2017, dispensa ancora rassicurazioni sul futuro della statua: «La decisione di rimetterla a nuovo è stata già presa da tempo – spiegava il sindaco al Quotidiano – Purtroppo ci sono stati dei ritardi, ma ora daremo un’accelerata all’iter per poter completare il lavoro».

Da allora altri quattro anni trascorreranno invano, e il risultato finale oggi è ben visibile a tutti al confine tra Cosenza e Rende: quel che resta è una memoria offesa e un rottame da smaltire.

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