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MA vi pare normale che in una città come Reggio Calabria non ci sia mai stato un dibattito pubblico, un incontro in una piazza, una associazione, una categoria professionale, un sindacato, un club, o anche solo una bocciafila che abbia voluto discutere dei soldi rubati ai cittadini? Ma dove viviamo? A Modena li hanno cacciati a pedate, a Reggio gli offrono il caffè al bar”. Ha scritto così sul suo profilo di Facebook nei giorni scorsi un cronista di questo giornale che da vari anni segue le vicende politiche e giudiziarie di Reggio Calabria. Come non dargli ragione? E ci pensavo mentre domenica leggevo l’editoriale del direttore Matteo Cosenza e l’inedito di Pasolini (su cui si è già aperto un vivace dibattito), perché tutto alla fine si tiene e tutto trova una spiegazione. Non brillante, in verità, questa spiegazione, tutt’altro che ottimistica, ma chiara e onesta, che deve essere però portata avanti senza furberie di quartiere, magari mettendo assieme Bocca e Pasolini in un non meglio specificato attacco, ed odio addirittura, portato alla Calabria, come pure qualcuno fa in queste ore sulla rete.

   Il punto è stato ben riassunto da Vito Teti ed è quello sul quale da mesi, da anni, ci stiamo aggrovigliando tutti: costruire una identità non retorica della Calabria, che non sia cioè dipendente dall’esterno, che faccia fare a tutti e fino in fondo i conti col malessere e le cose che non vanno della Calabria, che sappia quindi indignarsi e costruire assieme, che non lasci ad altri il racconto della Calabria, percorrendo dunque un sentiero stretto, a volte anche pericoloso, ma inevitabile se non vogliamo continuare a pestare acqua nel mortaio. E dunque evitando il racconto stucchevole (e dannoso) di come eravamo belli ai tempi che furono, dalla Magna Grecia in giù, tenendo il punto sempre sul dovere della denuncia e quindi della indignazione, ma innestando contemporaneamente  un racconto che vada al di là e fuori dai luoghi comuni, dagli schematismi, dalle facili battute, dalle facili ironie.

  E’ di tutta evidenza che il senso civico, il senso delle istituzioni, il senso della collettività – tutte tre sono ovviamente mancanze – siano il fulcro di qualunque ragionamento e qui Pasolini cade giusto perché il problema non è solo e non è tanto di carattere giudiziario ma politico, nel senso pieno del termine: possiamo continuare – tanto per restare solo all’istituzione Regione – ad una lamentazione che va avanti ormai da 42 anni (da quando cioè le Regioni sono nate) e che taglia ogni cinque anni trasversalmente il quadro politico senza tentare mai una domanda sul perché avviene tutto ciò? Possiamo ogni estate – ancora ad esempio – andare avanti con questa giaculatoria sul mare che un po’ è sporco e un po’ no, i turisti che non ci sono come dovrebbero esserci, quello spot è meglio di quello, Gattuso funzionava meglio della Gregoraci (o viceversa, non cambia molto) senza affrontare con compiutezza questo enorme problema che è il mancato decollo dell’industria turistica calabrese che si trascina praticamente da sempre? Qui il punto non è tanto mettere la testa sotto la sabbia ma cacciarla, finalmente, con proposte, con idee, con tentativi di autogoverno da parte delle comunità locali, dei centri di ascolto più piccoli, delle associazioni economiche, degli imprenditori, dei commercianti, degli operatori. In sostanza, il problema è quello di una presa di coscienza più ampia e collettiva, che sappia giudicare e punire e mandare a casa quando è il caso, senza sostituismi di facciata, ma quindi con una assoluta presa in mano del cambio di fase e di personale politico, che resta il principale dei problemi della nostra regione.

  Ma non è il solo. E qui torniamo all’editoriale di Matteo Cosenza, al post su Facebook e ad altro: ragionavo, ad esempio, sul ruolo incompiuto e poco chiaro di settori del mondo universitario ed accademico calabrese in questo processo generale di rinnovamento. Molto mi hanno colpito gli esami venduti alla figlia del boss della locride o ai favoritismi (peraltro pare neppure richiesti espressamente) ai temuti Pelle di San Luca nelle aule delle università calabresi. Fatti marginali? Fatti episodici? Può darsi ma qui il punto è che se non parte da lì indignazione e proposta e se da lì non ci sono gli esempi giusti poi diventa difficile che qualcuno organizzi un dibattito su Reggio Calabria o altri si inventino un ragionamento sui fondi pubblici sperperati e sulla mancanza più complessiva di regole.

   Il punto è che la politica in Calabria ha fatto e fa quello che è davanti gli occhi di tutti ma alla fine ha permeato delle sue infinite negatività un po’ tutto e dunque per rialzarsi lo struzzo deve togliersi dalla sabbia, deve guardarsi attorno e poi iniziare a capire. Il ”noi” cioè siamo tutti e serve a poco spostare il tiro delle responsabilità. Ognuno cominci da sé stesso, ognuno si guardi dentro, ognuno faccia il proprio dovere senza aspettare quello degli altri. Sono parole di don Luigi Ciotti, uno che sa come cercare di cambiare il mondo, al di là delle chiacchiere.

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