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ACRI (CS) – Giovedì prossimo uscirà nelle sale “L’abbiamo fatta grossa”, di Carlo Verdone. Nel cast Antonio Albanese, ma anche il giovane attore acrese Mattia Scaramuzzo, alla sua terza esperienza con il regista romano.

Carlo, che film è?

«È una bella commedia. Questa volta ho dato più spazio alla fantasia, alla creatività, un po’ meno ai problemi sociali, anche se questo aspetto rientrerà nel finale del film. È la storia di un detective in crisi, che alla sera scrive racconti di fantasia che hanno per protagonista un personaggio inventato, Peter York, sognando di diventare come lui. Il film si sviluppa intorno all’incontro con un attore in pieno esaurimento nervoso, che è Antonio Albanese, che lo ingaggia per indagare sulla moglie dalla quale si sta separando. È un film anche rocambolesco, che nel finale, come ho detto, recupera pure il significato della critica sociale, che lo spettatore riscontrerà nelle cronache italiane di questi ultimi giorni. È un film un po’ diverso rispetto a quelli che ho fatto ultimamente, non c’è il problema dello scontro generazionale o quello dei rapporti coniugali. È un film scritto in totale libertà. È un film diverso».

Perché?

«Perché ho voluto fare una commedia di stile un po’ francese, dove, intendiamoci, si ride, però ha un’eleganza un po’ particolare. Io l’ho molto curato questo film, negli attori, nella fotografia, nella scenografia; ho cercato di curarlo in tutti i dettagli, anche nella struttura della storia. Sono tante piccole cose che danno l’idea che forse Carlo Verdone ha voltato una pagina e apre un nuovo corso di questa terza fase della sua carriera».

Quali riscontri ti aspetti?

«È sempre molto difficile prevedere quello che può dire il pubblico. A me il film piace e buoni riscontri ho già avuto dagli addetti ai lavori che l’hanno già visto. Sento cose positive e me le auguro anche dal pubblico, che è il giudice supremo. Se il film andrà bene, rivedrete la coppia Verdone – Albanese in un’altra vicenda».

Ecco, Antonio Albanese. Come nascono certe collaborazioni?

«Nascono da una mia necessità, che è quella di lavorare sempre di più con bravi attori. Ho lavorato con tante attrici, brave e belle, però stavolta sentivo la necessità di condividere il film con un attore. È un film al maschile. È stato bello ed eccitante lavorare con un attore che ha grandi tempi di recitazione e ha fatto si che anche i miei andassero nel migliore dei modi».

Negli anni sta intrattenendo rapporti sempre più stretti con la Calabria, con Acri in particolare: nel 2009 il Premio Padula, il suo contributo al docufilm sullo scrittore acrese, la collaborazione con Mattia Scaramuzzo. Ad Acri è venuto nel 2009. Cosa si porta dietro di quella esperienza?

«Innanzitutto un grande affetto, poi una grande storia che si conosce poco, perché la Calabria è piena di storia, di intellettuali, di cultura e andrebbe fatta conoscere meglio. La Calabria nei secoli scorsi è stata molto importante, poi negli anni, anche per colpa di certa politica, è stata un po’ dimenticata e questa è una grossa ferita che va assolutamente rimarginata».

Nei giorni scorsi ci ha lasciato Ettore Scola. Quale ricordo conserva del grande regista?

«Di un gran signore, una persona perbene, che ha fatto conoscere la commedia italiana in tutto il mondo. Il suo successo lo dobbiamo a personalità come Ettore Scola, Pietro Germi, Dino Risi, Mario Monicelli. Scola era la parte colta della commedia italiana, in lui comicità, amarezza, tragedia, divertimento andavano a braccetto, in un equilibrio perfetto, che solo lui sapeva costruire».

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