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Ci vorrebbe un Giancane a tirare fuori tutto il disgusto che proviamo, come ha fatto nella canzone sigla del geniale “Strappare lungo i bordi” di Zerocalcare. Oppure una trasposizione di quella dolorosa “Borghesia” di Claudio Lolli, che all’epoca non gliele mandò a dire: “…chiuderesti in un manicomio tutti gli zingari e gli intellettuali…Ami ordine e disciplina, adori la tua Polizia/Tranne quando deve indagare su di un bilancio fallimentare./Sai rubare con discrezione, meschinità e moderazione/… Sai mentire con cortesia, con cinismo e vigliaccheria/Hai fatto dell’ipocrisia la tua formula di poesia…”.

Una fotografia che pare perfetta per la cappa che ci opprime, a Cosenza, ma altrove in questo paese che distratto dai temi della pandemia non s’accorge della rischiosa deriva che sta fatalmente imboccando. Dunque la Questura propone la sorveglianza speciale per Jessica Cosenza e Simone Guglielmelli, due giovani esponenti di Fem.In, gruppo cosentino che lotta per i diritti di tutti, denunciando le insopportabili anomalie di quella sanità calabrese deturpata dai forti a svantaggio dei deboli (che siamo tutti noi), e per il più sacrosanto dei diritti, la casa.

I giudici si pronunceranno a inizio anno o giù di lì, con la speranza che saltino anch’essi dalla sedia come siamo saltati noi e gran parte delle persone con ancora un po’ di grazia in zucca. In questa terra dei fuochi in quanto a marciume sotterraneo, dove per esempio un sindaco come Mimmo Lucano tende la mano agli invisibili e viene di fatto messo al muro, Jessica e Simone, entrambi senza alcun precedente se non quello – che gli fa onore e oneri (quante coliche dell’anima per chi ha a cuore le sorti dei senza voce ma si rende conto di riuscire a salvare soltanto che poche gocce rispetto agli oceani di brutture, che tali resteranno) – dell’impegno sul fronte politico e sociale invece che su quello delle storie di Instagram, vengono descritti, di fatto, come delinquenti sin dalla nascita, sabotatori della quiete pubblica.

Tanto per fare il verso a due cosette tra le righe di questa allucinante tesi, che si trasforma poi in copione da Minority Report quando scopriamo che a carico dei due ragazzi non esiste un solo reato. Repressione in nome della prevenzione: non è da stato democratico, inutile girarci attorno. Desta meraviglia e ci fa paura l’Egitto dei drammi di Giulio Regeni e di Patrick George Zaki, quando noi non siamo affatto da meno. Un luogo dove a due giovani intellettuali e attivisti si tenta di stravolgere la vita, in nome di una vaga e pretestuosa salvaguardia dell’ordine pubblico, non è molto diverso da quelli dove lo stato tortura e uccide. Stravolgere la vita di qualcuno solo sulla base di indizi, senza alcuna prova di reato, è torturare, è uccidere.

E sta diventando prassi, questo è il nodo. Un vizio tremendo, tutto italiano, per cui più volte la Grande Camera della Corte europea dei diritti dell’uomo ha sentenziato contro di noi, sottolineando appunto la vaghezza e l’imprecisione alla base di queste prescrizioni. Pensiamo al caso di Maria Edgarda Marcucci, la giovane attivista torinese sorvegliata speciale da incensurata: per lo stato italiano sarebbe socialmente pericolosa in quanto proveniente dalla Siria, zona in guerra, dove ha combattuto a fianco dell’esercito curdo l’avanzata dell’Isis. Per capirci, siccome Eddi sa usare le armi magari una mattina si sveglia e va in giro a sparare sulla folla chissà.

La consuetudine è la follia di stato, e in un mondo ormai congelato dal soffio mortale dei venti gelidi di destra, tra razzismi, esclusioni, muri, sfacciate economie alle spalle e sulle spalle delle maggioranze deboli, a esclusivo vantaggio delle grandi élite di potere economico e politico. E c’è del marcio evidente nella sciccosa Cosenza dello struscio natalizio, preoccupata soltanto di poter passeggiare su corso Mazzini senza doversi scuotere nel vedere per esempio le fontane di via Arabia con l’acqua tinta di rosso, come ingegnosamente le Fem.In fecero alzandosi di notte versandoci del colorante biologico, non inquinante, nel tentativo sacro, sacro, di accendere le fiacche coscienze dei più sul dramma dei femminicidi.

Scalare un tetto e gridare che la casa è un diritto, occupare un ufficio pubblico, cioè nostro, di tutti, per urlare che si è stanchi di una sanità che viene spartita a tavolino tra massoneria e politica (come avviene, e puntualmente), riunirsi al centro storico denunciando la caduta in pezzi (letterale) dell’immagine più bella della nostra storia e con essa della storia di tutta una nazione, non sono reati, ma solenni iniziative. Ci vorrebbe l’Armadillo di Zerocalcare, la coscienza che si materializzasse di colpo davanti a chi ha deciso di proporre la sorveglianza speciale per Jessica e Simone: “Ahò, ma che cxxo sto a dì, che caxxo sto ‘a’ fa”. Perché quello è stato davvero un odioso, e pericoloso, pensiero.

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