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Beppe Fiorello

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COSENZA – Evoca una favola di Esopo o di Fedro il titolo del primo lungometraggio del regista lametino Mario Vitale, classe 1985, che, a una settimana dall’uscita della pellicola nelle sale di tutta Italia (data prevista, 4 novembre) grazie a Zenit Distribution, si concede in una lunga intervista a questo giornale.

Mario Vitale

S’intitola, non a caso, L’afide e la formica l’opera – prodotta da Indaco Film, col supporto di Rai Cinema, Mibact e Calabria Film Commission -, che, tra l’altro, a voler essere precisi, oltre agli antichi novellisti, rispolvera quel gergo cinematografico degli anni Settanta che suole giocare con le metafore. Dunque, per meglio comprendere, proprio a partire dalla sua denominazione, ciò di cui questo film parla, a Vitale, che compare pure nel gruppo di sceneggiatori, si pone subito una domanda diretta. Lontana da artifici linguistici e figure retoriche.

 Spiegherebbe cosa bisogna intendere con l’espressione L’afide e la formica?

«L’afide e la formica non è solo un titolo, è una battuta che i protagonisti del film si scambiano. E poi è un esempio. L’esempio di ciò che in natura chiamiamo simbiosi, quando gli insetti si prendono cura l’uno dell’altro. Sa, nel caso di specie, l’afide produce una melata di cui le formiche vanno ghiotte e di cui, quindi, si nutrono. In cambio del cibo che ricevono, a loro volta le formiche proteggono gli afidi dai predatori, facendogli fare ingresso nel formicaio. Ecco, la stessa cosa accade nel film: i personaggi, stando insieme, traggono beneficio; condividono le loro esperienze per farcela, per superare i problemi che li caratterizzano».

Farcela da cosa? Superare quali tipi di problemi? Considerati i suoi precedenti lavori – corti sul lavoro e sulla violenza contro le donne -, ci si immagina che anche nel film in questione le tematiche affrontate siano prettamente sociali.

«Sì e no. Nel senso che prima che essere sociali, i temi di questo film sono umanistici. I protagonisti sono entrambi spinti dalla necessità di avere un riscatto personale. C’è una giovane studentessa marocchina (Cristina Parku) che vive i “problemi” legati all’adolescenza, oltre a quelli derivanti dal suo background culturale e religioso, e poi c’è il suo professore di ginnastica (Beppe Fiorello), che ha alle spalle una storia familiare assai complicata. Senza spoilerare troppo, si può, ancora una volta, dire che, insieme, i due potranno superare le rispettive difficoltà. Pertanto, per il mio punto di vista, si tratta di una storia da definire libertaria, contro i pregiudizi, contro la diffidenza che si ha verso il mondo altro».

Ha diretto un grande cast. Oltre a Beppe Fiorello, anche Valentina Lodovini. Com’è stato?

«I primi giorni sul set ero molto emozionato, poi sempre più a mio agio. L’ha detto: sono grandi attori, il rapporto è stato assai professionale. Ma, in particolare, si è creato anche quel feeling che mi entusiasma e rende orgoglioso. Beppe e Valentina, tra l’altro, nel film, ci hanno creduto sin da subito».

Avete girato principalmente a Lamezia Terme, che poi è il posto in cui è nato e in cui vive. La comunità come ha reagito? E poi, della Calabria, oltre all’ambientazione, cosa troveremo nel film?

«La comunità ci ha accolto a braccia aperte. I lametini, questo già lo sapevo, hanno voglia di “esplodere”, di dire al mondo “ci siamo anche noi qui”, e quindi ero tranquillo sul fatto che sarebbero stati contenti di vedere la città diventare set cinematografico (le riprese sono terminate un anno fa, dopo cinque anni di lavoro, ndr), però, sinceramente, non mi sarei mai aspettato un entusiasmo così forte. Ne sono felicissimo. Poi, il film sì, è ambientato in Calabria e della Calabria non ci sono solo i luoghi scenografici, luoghi come la zona Giudecca che gli stessi autoctoni spesso faticano a conoscere, ma pure e soprattutto quelli che mi porto nel cuore. Ci sono, ancora, momenti del passato, aneddoti della scuola, l’infanzia trascorsa proprio qui. Ci tengo, infine, a dire che nel film c’è il racconto di una Calabria cambiata: le nuove generazioni, per esempio, non hanno alcun pregiudizio verso Fatima, l’adolescente marocchina; è Fatima stessa a dover superare “problemi” che le nascono da dentro».

A questo punto, la domanda è d’obbligo. Ci sarà una prima a Lamezia?

«Sì, certamente. Ci sarà anche, dopo la prima, una ulteriore serie di proiezioni. Però, per quanto riguarda la data e le date, ci stiamo ancora lavorando».

Parteciperanno anche gli attori?

«Vedremo (ride, ndr)».

Dunque, tanta Calabria. E poi? L’ha ispirata altro nel girare L’afide e la formica?

«Sì, sicuramente i film adolescenziali americani, quelli prodotti da A24, come Moonlight o Euphoria. A ogni modo, seppur i miei quattro registi della vita siano Lynch, Kubrick, Polanski e Bunuel, per girare, in questo caso, non ho avuto riferimenti precisi».

Sta già lavorando a nuovi progetti? Cosa si aspetta dopo il 4 novembre?

«In realtà ho mille idee, ma per il momento nulla di preciso, aspetto l’uscita del film. Cosa mi aspetto? Ebbene, che lo stesso susciti una reazione, bella o brutta non importa. Spero non lasci indifferenti. E che come tutte le favole, dato che – ci pensavo questa mattina – credo che L’afide e la formica rappresenti proprio una favola moderna, lasci qualcosa allo spettatore».

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