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SONO oltre sette su dieci i calabresi che di fronte allo stress faticano a controllarsi nelle scelte alimentari e ne subiscono in modo significativo gli effetti. Lo rileva uno studio dell’Osservatorio Reale Mutua in collaborazione con Slow Food. Comportamenti alimentari come questi spesso non restano senza conseguenze e finiscono per incidere sullo stato generale di benessere, provocando sensazioni di gonfiore (riferite dal 34% degli abitanti della Calabria), bruciore o acidità (22%), o anche senso di nausea e pesantezza (18%).

Ne abbiamo fatto esperienza un po’ tutti: avvertire l’esigenza di tuffare il cucchiaio (ripetutamente) nella vaschetta del gelato o concedersi una maxiporzione di patatine fritte come ‘ricompensa’, mentre si sta preparando un esame ostico o si è alle prese con il trasloco o una scadenza di lavoro importante. Oppure, la reazione opposta: dimenticarsi di mangiare, avvertire lo stomaco chiuso perché provati dallo stress. Ma quali sono i ‘meccanismi’ che scattano in questi casi? Ne abbiamo parlato con Alfonsina D’Ambrosio, psicologa e psicoterapeuta, esperta di psicodiagnosi e referente regionale Sicob (Società italiana di Chirurgia dell’obesità e delle malattie metaboliche) per l’area psicologica.

Perché scarichiamo lo stress rifugiandoci nel cibo?

«Partiamo con una precisazione: quando parliamo di stress non indichiamo sempre una condizione negativa. Esistono due tipi di stress, uno dei quali è lo stress ‘cattivo’. Qui facciamo riferimento a quest’ultimo, a una situazione di stress molto elevato che può innescare la fame emotiva, un comportamento compulsivo che ci porta a mangiare senza freni. Cosa la scatena? Ci sono condizioni fisiologiche, alla base. Sotto stress produciamo cortisolo, che innesca una serie di reazioni tra cui l’innalzamento della glicemia. Questa eccessiva produzione di glucosio stimola la ricerca di cibi calorici, dolci, cibi “spazzatura”, che agiscono da ricompensa o sedativo della condizione emotiva attivante».

Però in generale siamo consapevoli dell’importanza di una sana alimentazione. Perché questo non ci frena?

«Da un punto di vista razionale sì, possiamo esserne consapevoli, ma manca la centratura emotiva, non siamo concentrati sul nostro qui e ora con le emozioni che proviamo e con il cibo. Noi sappiamo ad esempio che il segnale di stop alla fame viene elaborato già a livello della digestione primaria. Mentre mastichiamo il cervello trasmette il segnale di sazietà, ma se mangiamo velocemente e in maniera distratta, magari facendo altro, se non assaporiamo i cibi, il cervello non elabora il segnale».

Lo stress può indurre anche il comportamento opposto? Sentire lo stomaco “chiuso”?

«Parlando sempre di situazioni di equilibrio e non di contesti medicalizzati, sì, in alcuni soggetti lo stress può determinare questa condizione. Il fulcro è sempre lo stesso: la mancata centratura sul nostro mondo emotivo».

C’è qualcosa che possiamo fare in questi casi? Prassi da seguire, quando sappiamo di andare incontro a periodi di stress e non vogliamo caricare sul nostro organismo il peso di una dieta sbagliata?

«Dobbiamo ascoltarci e focalizzarci sulla nostra relazione con il cibo. Anche porsi delle domande aiuta. Chiedersi quand’è che mangiamo di più, interrogarsi sul ruolo che il cibo ha per noi: quando lo utilizziamo per fame e quando per rispondere allo stress. Quando consumiamo un pasto, chiederci se siamo sazi e ‘ascoltare’ il nostro corpo. Porsi queste domande aiuta l’autoconsapevolezza: ricordiamoci che lo stress ci porta a spostare il focus dell’attenzione. Teoricamente tutti sappiamo come bisogna mangiare, ma non basta questo a renderci costanti nel seguire un regime alimentare salutare. Il cibo è relazione, dobbiamo interrogarci su quello che è il nostro rapporto con quello che mangiamo, focalizzarci sul nostro mondo emotivo, chiederci quanto vogliamo prenderci cura di noi».

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