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Il Parco archeologico di Sibari allagato

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«È uno scenario apocalittico quello che appare in ogni angolo del parco archeologico di Sibari, sommerso dal fango e dall’acqua del fiume Crati dopo l’esondazione causata dalla pioggia. E così sembra di essere tornati al 510 a.C., quando i crotoniati decisero di deviare il corso del fiume che distrusse completamente l’opulenta polis magnogreca di Sybaris. Il 18 gennaio, dopo due millenni e mezzo, il Crati è esondato di nuovo, questa volta non per motivi bellici, e ha allagato completamente il parco archeologico di Sibari, mettendo in serio pericolo un patrimonio di inestimabile valore storico-culturale».

Nel gennaio 2013 – sull’allora Quotidiano della Calabria – quando il Parco Archeologico di Sibari, alle ore 6 del mattino, veniva devastato dall’esondazione del fiume Crati, si parlò di circa 200mila metri cubi di acqua, scrivemmo questo. Come giornalisti, persone, l’intera testata, all’epoca sotto la guida del direttore Matteo Cosenza, decidemmo di non restare inerti davanti alla storia che si sgretolava sotto fiumi di acqua e fango, un micidiale impasto di terra ed erba, di limo e arbusti, detriti e mosaici scomparsi.

Fu una mobilitazione che fece rumore. Ci facemmo sentire. “Salviamo Sibari” fu la prima iniziativa a partire e dopo l’allarme lanciato dal Quotidiano, le inchieste giornalistiche, i commenti, le richieste, l’abnegazione di Battista Sangineto e i resoconti di Antonio Iannicelli, seguì un appello che un gruppo di intellettuali e cittadini comuni inviò al Presidente della Repubblica, al Presidente del Consiglio, al Ministro della Cultura e a tutti gli Enti competenti, per salvare il patrimonio culturale dell’area.

«Nei giorni successivi all’alluvione l’unica mobilitazione partita è stata quella di studiosi, accademici, intellettuali, che hanno lanciato dalle colonne del Quotidiano della Calabria l’appello “Salviamo Sibari” per richiamare l’attenzione sul sito in pericolo. Le adesioni sono state migliaia da tutto il mondo, ma servono interventi concreti». Raccontava Peppe Baldessarro, il 30 gennaio 2013, dalle colonne di Repubblica.

Una mobilitazione di cui ancora oggi andiamo fieri e che ricordiamo senza vanto, ma come cronaca, 10 anni dopo, proprio oggi, giorno di quel terribile anniversario. Un anno dopo, 365 giorni di richiami, parole scritte, angeli del fango, idrovore e fondi stanziati, partì l’iniziativa “Mai più fango, un sms per Sibari”, che fu accolta con lo spirito di totale abnegazione per la loro terra amara e matrigna che solo certi calabresi sanno tirare fuori quando serve. La chiamiamo “tigna”. Dopo quattro anni, 18 milioni di euro di fondi POin, l’11 febbraio 2018, il Parco archeologico di Sibari tornò fruibile.

«Prezioso ed essenziale è stato, – scriveva il sindaco di Cassano allo Ionio, Gianni Papasso – soprattutto, il contributo dell’allora Ministro Fabrizio Barca. Ringrazio “il Quotidiano della Calabria”, oggi “il Quotidiano del Sud”, per aver promosso la campagna di raccolta fondi “Mai più fango a Sibari” e gli uomini di cultura che hanno lanciato il grido di allarme e mai i riflettori sul dramma del sito di Sibari. Ringrazio quanti hanno lavorato, con passione e sacrificio, per questo risultato».

«La Calabria ha tutto: natura straordinaria, reperti archeologici, una storia discontinua e per tanti periodi anche piatta, ma poi sublimata per qualche tratto da eccellenze che hanno lasciato il segno. E spreca tutto». Scriveva Matteo Cosenza. Oggi è l’alba di un giorno nuovo ma il meteo parla di pioggia e la paura torna.

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