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Il professor Marco Schioppa

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COSENZA – Nato il 4 luglio. Cioè oggi, ma dieci anni fa. Si tratta del Bosone di Higgs, particella elementare che spiega come mai tutte le cose nell’Universo abbiano una massa. Quando nel 2012 la sua esistenza venne annunciata, al Cern di Ginevra non era presente soltanto Peter Higgs (1929), fisico britannico che negli anni Sessanta, e quindi poco più che trentenne, lanciò l’idea che giustifica la presenza nel cosmo di stelle e pianeti, di fisica e chimica, ma c’era anche Marco Schioppa, professore associato di Fisica all’Università della Calabria, responsabile Atlas del gruppo Infn di Cosenza e, al tempo, coordinatore del laboratorio universitario di Alte energie.

Perché sì, c’è da dire che l’ateneo di Arcavacata, di questa straordinaria scoperta, fu vero e proprio protagonista: nei suoi spazi sono stati, infatti, realizzati alcuni dei rivelatori di Atlas, uno dei principali esperimenti dell’acceleratore Large Hadron Collider (Lhc) che rappresenta, appunto, la più grande macchina scientifica mai costruita, o meglio una “ciambella” del diametro di ventisette chilometri, che passa dal confine svizzero alla Francia e ritorna a Ginevra, atta a produrre 40milioni di scontri ogni singolo secondo tra particelle a velocità prossime a quelle della luce. Al progetto, più in particolare, collaborarono tredici studiosi dell’Unical, tra docenti, borsisti e dottorandi.

«Ancora oggi – spiega Schioppa – a distanza di dieci anni, ho la pelle d’oca. Ricordo i festeggiamenti, l’emozione provata una volta che al Cern assistemmo all’annuncio sul Bosone. Del resto – aggiunge – il nostro contributo fu fondamentale, realizzammo il dieci per cento delle camere dello spettrometro di Atlas, che consta di 350mila unità di rivelatori, i cosiddetti tubi a deriva: noi ne costruimmo 35mila, dunque un lavoro consistente, significativo e tangibile. Tra l’altro – dice il professore – sono appena tornato da un convegno tenutosi a Pisa, con la comunità italiana che lavora in Atlas, e ci tengo a sottolineare che è emerso che, su 350mila tubi, ne funzionano attualmente il 99,8 per cento: non solo abbiamo messo a punto qualcosa, abbiamo messo a punto qualcosa che tuttora è capace di fare il suo “lavoro”».

E tra i ricordi di Marco Schioppa non c’è solo l’emozione provata quel famoso 4 luglio o, ancora, tutta la fase relativa alla realizzazione dei rivelatori di Atlas (essi sono stati costruiti in dieci Paesi diversi prima di essere installati in Atlas, mentre ammontavano a 3500 gli scienziati provenienti da tutto il mondo che parteciparono all’esperimento). Il professore racconta pure gli aspetti più cruciali della “missione” dei fisici dell’Unical. «Al lavoro di costruzione dei tubi all’Unical è seguito quello di qualificazione dei rivelatori prima e dopo l’installazione in caverna – dice – ovvero portare i tubi nel “pozzo” di Atlas, collegarli, effettuare i test, raccogliere i dati».

Ma il lavoro in Atlas non termina qui, dal momento che «l’acceleratore subirà un importante aggiornamento che lo renderà più potente di quello che è oggi». «Ci stiamo non a caso – precisa il docente – preparando per quella fase, l’upgrade di Atlas, e, sempre nei laboratori dell’Unical, ci stiamo muovendo per costruire nuovi rivelatori per lo spettrometro: nel 2028, quando nell’acceleratore riprenderanno le collisioni tra particelle, esso avrà un’energia superiore a quella che il 5 luglio 2022 farà segnare un record mondiale. Come a dire – chiosa – che ci saranno sempre 40milioni di collisioni tra particelle al secondo, però il numero di collisioni stesse per incrocio di fascio salirà da 60/80 a 200».

Tuttavia va menzionato un ulteriore dato. Non solo dagli anni Novanta fino al 2005 Marco Schioppa costruì, insieme agli altri esperti, alcuni dei “pezzi” di Atlas ma già molto tempo prima il docente e il professore emerito dell’Unical Giancarlo Susinno (grazie al quale nell’87 iniziò la collaborazione tra Unical e Cern) disegnarono un prototipo dell’apparato sperimentale che «risultava davvero assai simile a quello di oggi di Atlas». Una storia, pertanto, lunghissima quella che ha portato, alla fine, alla scoperta della cosiddetta “particella di Dio”. «Una denominazione quest’ultima – sottolinea Schioppa – altisonante, inesatta: fu escogitata da un editore proprio ai fini divulgativi e pubblicitari, ma il Bosone di Higgs con la teologia non ha nulla a che fare. Comunque di inesattezze, al tempo, ce ne furono ulteriori – continua – addirittura si pensava che una volta fatto partire l’acceleratore si innescasse un potenziale buco nero: una paura infondata; d’altronde la nostra atmosfera è costantemente bombardata da particelle che provengono dalla Galassia, dall’esterno e pure da quelle originate dal Big Bang: tutte loro si incontrano con nuclei di Azoto e nuclei di Ossigeno, raggiungendo densità uguali o superiori a quelle tipiche di un buco nero; ma un fenomeno di questo tipo, un buco nero insomma, non si è mai innescato così».

Adesso, pertanto, non rimane che attendere, per come già accennato, il “potenziamento” dell’acceleratore e andare incontro anche a un’altra sfida. «Lo abbiamo rilevato sempre a Pisa nei giorni scorsi – sottolinea Schioppa – abbiamo bisogno di giovani, giovani studiosi, nuove energie che ci aiutino a seguire tutta questa evoluzione e, perché no, anche a divulgarla: persone, animate da talento e passione, che, come successe per noi, cerchino di risolvere gli “enigmi” dell’Universo e di comprendere i motivi per i quali al mondo succedono cose solo apparentemente “strane”».

Generazioni nel fiore degli anni e future che si distinguano per la nobiltà e l’integrità dei desideri che le ossessionano: magari rispondere ai tanti “perché” mancanti alle teorie della fisica.

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