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Salvatore Alfano, Rossella Pugliese, Chiara Callegari e Angelo Colosimo (foto Steven Trunzo)

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«LE PAROLE sono le mani per le cose a cui non puoi arrivare dice Sanguineti e quando penso all’uso del dialetto a teatro penso a delle mani con i calli, con una presa forte».

Mi rimane impressa questa frase di Angelo Colosimo, attore, autore e regista calabrese, che incontro proprio alla viglia della prima nazionale del suo nuovo spettacolo, La Salvazione, che debutterà al Campania Teatro Festival, nel giardino paesaggistico di Porta Miano di Capodimonte oggi. Siamo nel 1956, l’anno del boom il pensiero di un futuro migliore e il rock iniziano ad insinuarsi tra le nuove generazioni e le lotte contadine per appropriarsi delle terre incolte sono all’ordine del giorno anche in Calabria. In un piccolo paesino, un giovane di famiglia contadina, spinto dalla voglia di cambiamento tenta la strada della ribellione per migliorare le sue condizioni e quelle dei suoi cari. Lo scontro generazionale porterà ad una escalation di tensione contro i poteri locali.

Siamo in una conversazione collettiva insieme a Chiara Callegari, diplomata alla prestigiosa Paolo Grassi di Milano, che è regista della pièce, e Rossella Pugliese, giovane attrice che ha un curriculum di collaborazioni molto importante con nomi del calibro di Ettore Scola ed Emma Dante fra gli altri. L’unico che manca è il giovane talentuoso Salvatore Alfano.

«Quando io ho pensato allo spettacolo l’ho scritto proprio pensato alla recitazione, alla forza che mette Rossella nelle sue performance», mi dice Angelo ricordando che sono anni che la conosce e come condivida con lei un background e una visione del teatro. Un teatro che non deve mettere paura sottolinea Rossella, continuando nell’affermare come a volte ci sia un a distanza troppo grande fra il teatro e le persone e di come venga visto o come noioso o come qualcosa che faccia paura.

«Il teatro è vita. Io sono molto felice di questo testo, di come è stato concepito, anche perché purtroppo non è comune nel teatro italiano scrivere parti per una donna come ha fatto Angelo». Quando Colosimo parla del teatro insiste su un teatro civile, della sua voglia di poter raccontare una poetica personale ma che parli delle persone e per le persone. «Raccontare un mondo bistrattato che è quello della mia Calabria in questo caso, della mia terra, mi offre un’enorme varietà di spunti, cercando sempre di andare ad essere comprensibile ed in relazione per e con tutti. Per fare questo ed uso la drammaturgia ed il dialetto come un musicista usa un pianoforte: strumento e non fine ultimo».

Precedentemente Angelo è stato autore e protagonista di una trilogia di monologhi, detta da lui, delle bestie rare e degli istinti recitata in dialetto e che ha avuto un ottimo successo. Il dialetto è una vera lingua che lui ha “lavorato” con John Trumper, il famoso linguista, oggi ordinario dell’Unical. Sorride Chiara che condivide, da veneta, la sfida del dialetto, ma anche la visione del teatro detta prima dai suoi “compagni di viaggio”. «La pandemia ha messo in luce la troppa autoreferenzialità del teatro italiano. Angelo quando scrive, io quando penso alla scena e alla regia, Rossella quando si muove sul palco abbiamo tutti un obiettivo: arrivare allo spettatore, arrivare altro!» Chiara mi parla non sono solo dell’importanza del dialetto come costruzione della corporeità della scena e dell’azione, ma di come si realizzi una scenografia sonora, con il sobbollire delle pentole in sottofondo. «Io ho lavorato per mostrare la crudeltà che c’è nei rapporti umani sotto la copertura iniziale, qualcosa che conosciamo tutti, per farlo ho creato una visione che mostri la forza e la violenza degli istinti che le persone hanno dentro».

Mentre li saluto non posso non ricordare una frase proprio di Paolo Grassi, straordinario uomo di teatro: «Il teatro per la sua intrinseca sostanza è fra le arti la più idonea a parlare direttamente al cuore e alla sensibilità della collettività». Questi ragazzi ci stanno riuscendo.

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