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VIBO VALENTIA – Il valore dei beni sequestrati è imponente: 45 milioni di euro. Proprietà sparse su tutto il territorio nazionale. Soprattutto imprese che operano nel settore dell’edilizia, ma anche bar di un certo spessore siti nella Capitale e nella capitale economica della Penisola: Milano. Beni considerati dai pm distrettuali Pierpaolo Bruni e Simona Rossi, riconducibili al clan Tripodi di Vibo Marina, già colpito da un’operazione che nel maggio dello scorso anno aveva portato all’arresto dei presunti vertici e degli affiliati. 

Questo e molto altro ancora spicca nel provvedimento di sequestro firmato dal Tribunale di Vibo che ha accolto la richiesta della Dda di Catanzaro. E se il primo step, cioè l’inchiesta “Lybra” contro il presunto sodalizio mafioso aveva riguardato in particolare le misure cautelari personali (LEGGI L’ARTICOLO), il secondo, denominato “Lybra money” ha interessato il fattore economico-finanziario di una cosca che era diventata una vera e propria holding con collegamenti al centro e al nord Italia e il tentativo, secondo le risultanze investigative, di acquisire appalti pubblici nel Lazio anche attraverso il promesso sostegno elettorale ad un candidato, poi eletto, ma non indagato, alle elezioni del consiglio regionale del 2010. Le richieste di sorveglianza speciale. 
Constestualmente ai sequestri, i pm Bruni e Rossi e il procuratore capo Vincenzo Lombardo, hanno avanzato sempre al Tribunale di Vibo Valentia richieste di misura di prevenzione personale della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza nei confronti di 10 persone: il presunto boss dell’omonimo clan, Nicola Tripodi, 66 anni; Sante Tripodi, 41 anni, e Antonio Tripodi, 50 anni, fratelli del primo; Salvatore Vita, 39 anni, di Vibo Marina; Francesco Comerci, 39 anni, di Nicotera, residente a Roma; Massimo Murano, 41 anni, di Busto Arsizio (Va); Orlando Tripodi, 28 anni, e Marika Tripodi, 29 anni, figli di Nicola Tripodi; Simon Schito, 32 anni, di Milano; Francesco La Tesse, 29 anni, di Vibo Marina. L’elenco dei beni sequestrati – Il valore dei beni ai quali sono stati apposti i sigilli ammonta, come detto, a 45 milioni di euro. 
SEQUESTRATI BAR E BENI DI LUSSO – Fra le proprietà riconducibili al clan Tripodi figurano i bar “Ritrovo La Dolce Vita” in via Giulia Cesare a Roma, ed il bar “Effeci Global Services Group srl” in via Plauto a Roma. Sequestrate anche le quote societarie della società “Edil Sud Costruzioni srl” con sede a Roma (attualmente in fallimento) intestate a Francesco Comerci e Filippina Purita; l’intero compendio aziendale della “Edil Sud Costruzioni srl” composto da 2 fabbricati nel Comune di Manziana (Rm) ed uno a Magnago (Mi), un fabbricato a Roma, 4 autovetture Fiat, un autocarro Iveco ed una Chevrolet Captiva. Sequestrate poi le quote societarie e il compendio aziendale (2 immobili a Buscate, nel Milanese, ed uno a Milano) della società “O&S. Costruzioni” con sede a Milano di proprietà del vibonese Francesco La Tesse. Sequestrate anche quote societarie e compendio aziendale della “Cavour 29 di Morello Maria Teresa e Tripodi Orlando” con sede a Cornaredo (Mi); “Atam sas di Iania Alfredo&C”; “Napoleone Costruzioni srl” attiva nel Milanese; “T5 Costruzioni srl”di Sante Tripodi e Teresa Lo Bianco con sede a Porto Salvo (Vv); “Lgr Costruzioni di La Gamba Roberto” con sede a Vibo Marina, la “S.C. Costruzioni di Sicari Cristian” con sede a Limena (Pd).
‘NDRINE “SGUAZZANO” NELLA CRISI – Le risultanze investigative sono state esposte in conferenza stampa in Prefettura alla presenza dei vertici della Procura distrettuale, di quella ordinaria, e dei Carabinieri de Gdf. Il procuratore di Vibo Mario Spagnuolo ha rilevato come «la situazione di crisi economica e sociale che va ormai avanti da più anni e che vede coinvolto soprattutto il Meridione rappresenta un’occasione per l’arricchimento dell’impresa mafiosa che prospera proprio perché non ha i problemi, come ad esempio il ricorso al credito, di quelle che operano con trasparenza. E in più, ha la capacità di infiltrazione nella zona grigia. Per questo – ha concluso il magistrato – l’aggressione ai capitali mafiosi diventa fondamentale e questa indagine, che tocca non solo patrimoni ma anche le imprese, è un’attività assolutamente meritoria». Il procuratore distrettuale aggiunto Giovanni Bombardieri, nel rilevare come al momento la Dda abbia solo cinque sostituti procuratori che devono dividersi sette circondari, oltre al gup distrettuale. 
Una situazione, quindi, particolarmente difficile che quasi ci pone nell’impossibilità di far fronte a tutti questi impegni, ha tuttavia fatto notare l’importanza della collaborazione con le procure ordinarie e dell’aggressione ai patrimoni mafiosi. Un’azione che la Dda ritiene necessaria affiancare all’intervento repressivo custodiale. Il patrimonio messo sotto sequestro, veramente cospicuo, era stato rappresenta il frutto delle attività illecite come estorsioni ed usura che il clan era riuscito a garantirsi nel tempo. La capacità di Carabinieri e Finanza è stata, dunque, quella di «individuare i legami tra le aziende, spesso intestate a prestanomi – ha aggiunto Bombardieri – e chiedere il sequestro anticipato dei beni al Tribunale di Vibo Valentia. Sequestro che, come visto, è stato accolto».
Il magistrato ha rilevato come al momento «si stia effettuando un grandissimo sforzo in parte attenutato dalla collaborazione delle procure ordinarie del Distretto, ma si capisce bene che la situazione è drammatica perché ci troviamo a combattere con delle armi spuntate anche vista la vastità del territorio che va da Paola a Crotone, da Cosenza a Vibo, oltre ovviamente Catanzaro. Cinque sostituti, quindi, non sono assolutamente sufficienti per gestire al meglio un’area così ampia». Lo stesso procuratore aggiunto, con riferimento all’operazione, ha affermato che questa rappresenta «il naturale corollario di un procedimento attualmente in fase dibattimentale», e riguarda «l’aggressione ai patrimoni mafiosi. Un’azione che la Dda ritiene necessaria affiancare all’intervento repressivo custodiale. Il patrimonio messo sotto sequestro, veramente cospicuo, era stato rappresenta il frutto delle attività illecite come estorsioni ed usura che il clan era riuscito a garantirsi nel tempo». 
 

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