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REGGIO CALABRIA – Blitz della Guardia di Finanza all’alba, i finanzieri del Comando provinciale di Roma hanno arrestato dieci persone su ordine del Gip del Tribunale di Roma e hanno effettuato circa 100 perquisizioni, in undici regioni diverse.

In manette 5 dirigenti e funzionari dell’Anas della Direzione Generale di Roma, 3 imprenditori, titolari di aziende appaltatrici di primarie opere pubbliche, un avvocato e un politico, già sottosegretario del ministero delle Infrastrutture. Si tratta del calabrese Luigi Meduri, sottosegretario al Ministero delle Infrastrutture per due anni, dal maggio 2006 al maggio 2008. Dal gennaio 1999 all’aprile 2000 aveva ricoperto la carica di presidente della Regione Calabria. Trentuno le persone complessivamente indagate.

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L’OSCURO FACCENDIERE – L’ex sottosegretario Luigi Meduri era «un oscuro faccendiere» e interfaccia politica della “dama nera”, il dirigente dell’Anas Antonella Accroglianò, considerata dagli investigatori al vertice dell’organizzazione all’interno dell’Anas. E’ la ricostruzione fatta dagli uomini delle Fiamme Gialle sul ruolo di Luigi Meduri nei confronti del quale sono stati disposti gli arresti domiciliari. A casa della madre di Accroglianò, anche lei di origini calabresi, sono stati anche sequestrati 70 mila euro in contanti e gioielli.

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Il provvedimento cautelare nei confronti di 10 persone nell’ambito dell’operazione denominata “Dama nera” è stato emesso sulla scorta degli elementi acquisiti nel corso delle indagini condotte dalle Fiamme Gialle del Nucleo di polizia tributaria di Roma, coordinate dalla procura della capitale.

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I NOMI – Figura centrale è risultata la Antonella Accroglianò, dirigente responsabile del Coordinamento Tecnico Amministrativo di Anas, ritenuta vero e proprio deus ex machina all’interno del sodalizio; Oreste De Grossi (dirigente responsabile del servizio
incarichi tecnici della Condirezione Generale Tecnica); Sergio Serafino Lagrotteria (catanzarese di origine e dirigente area progettazione e nuove costruzioni); i funzionari “di rango minore” Giovanni Parlato e Antonino Ferrante, tutti oggi destinatari di provvedimento restrittivo. 

A loro si aggiungono l’avvocato catanzarese Eugenio Battaglia, Concetto Bosco Logiudice, Francesco Costanzo, Giuliano Vidoni e l’ex sottosegretario Luigi Meduri.  Costanzo e Lo Giudice sono due noti imprenditori catanesi ai vertici della società Tecnis, colosso del sud Italia.

I reati contestati vanno dall’associazione per delinquere, alla corruzione per l’esercizio della funzione e per atto contrario ai doveri di ufficio, dall’induzione indebita a dare o promettere utilità al voto di scambio.

Il gip ha disposto inoltre un sequestro per equivalente nei confronti di tutti i dipendenti pubblici per 200 mila euro. La Guardia di finanza ha seguito questa mattina una novantina di perquisizioni in Lazio, Calabria, Puglia, Campania, Sicilia, Friuli, Toscana, Umbria, Piemonte, Veneto e Abruzzo.

GLI ACCERTAMENTI – L’Autorità nazionale anticorruzione, a quanto si apprende, chiederà gli atti relativi all’inchiesta per corruzione che ha portato all’arresto di dirigenti e funzionari Anas. L’obiettivo è verificare se vi siano appalti su cui intervenire in base ai poteri affidati all’Authority.

«DEPRIMENTE CORRUZIONE» – Il procuratore di Roma, Giuseppe Pignatone, ha affermato: «Al termine di questa prima fase dell’inchiesta c’è una sensazione deprimente della quotidianità della corruzione».  

«La principale indagata – ha aggiunto Pignatone – va in ufficio tutti i giorni ma il suo principale lavoro è gestire questo flusso di corruzione, trattar male chi ritarda i pagamenti». La corruzione insomma, conclude Pignatone, «è vista come una cosa normale».

«SCENARIO DISARMANTE» – L’indagine ha svelato uno scenario «disarmante» in cui la corruzione ed il pagamento di tangenti sono un «sistema assolutamente strutturato e per nulla episodico». Così gli investigatori della Guardia di Finanza hanno descritto il contesto che hanno trovato indagato all’interno dell’azienda. Secondo gli uomini delle Fiamme Gialle in Anas c’era una vera e propria «cellula criminale» che aveva un «diffuso rapporto di connivenza in tutta Italia» e che utilizzata, come nei contesti mafiosi, dei pizzini per scambiarsi le informazioni tra gli imprenditori ed i funzionari pubblici corrotti, «in modo da non lasciare traccia di quelli che erano gli accordi corruttivi». Insomma, «un sistema collaudato, tutt’altro che episodico».

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