X
<
>

Condividi:
2 minuti per la lettura

TINTE fosche in termini ambientali quelle tracciate dallo Studio epidemiologico dei siti contaminati della Calabria, a cura di Pietro Comba e Massimiliano Pitimada del Dipartimento di Ambiente e connessa prevenzione primaria dell’Istituto superiore e di sanità, aggiornato al 16 maggio scorso. Nello studio si evidenzia come in Calabria «è ubicato uno dei Siti di Interesse Nazionale per le bonifiche, 112 siti sottoposti dalla Regione a procedimento di bonifica» nonchè «un certo numero di aree non riconosciute ufficialmente come siti contaminati, ma oggetto di diversi tipi di segnalazioni, ad esempio da parte dei media o dell’associazionismo ambientalista, per alcune delle quali indagini epidemiologiche sono in corso o in fase avanzata di progettazione». Il Sito di interesse nazionale (Sin), naturalmente, è quello di Crotone-Cerchiara-Cassano e 18 i siti definiti ad alto rischio dalla Regione Calabria. Nello studio sono evidenziate anche «alcune situazioni non riconosciute ad oggi come siti contaminati, ma oggetto di attenzione, di segnalazioni, in alcuni casi di vere e proprie mobilitazioni e di varie attività incluse, in determinati ambiti, indagini epidemiologiche». Dei 18 siti considerati ad alto rischio dalla Regione Calabria, 7 ricadono nella provincia di Cosenza, due nella provincia di Catanzaro, 8 in quella di Reggio Calabria e solo un sito nella provincia di Vibo Valentia.

GUARDA LA MAPPA

I sette siti in provincia di Cosenza sono: Cariati, Cassano allo Ionio (incluso anche nel Sin), Firmo, Laino Borgo, Lungro, Scalea e Tortora. Cariati ricade nel Sistema del Marchesato crotonese, mentre gli altri sono nel Sistema del Massiccio del Pollino. I due siti catanzaresi sono Davoli e Lamezia Terme mentre quello in provincia di Vibo è ubicato nel comune di Zambrone. Gli ultimi 8 siti ad alto rischio, ricadono tutti nella provincia di Reggio Calabria e inoltre per i comuni di Bovalino, Cosoleto, Palmi, Scilla e Reggio Calabria, tutti nel nel Massiccio dell’Aspromonte.
Inoltre, nello studio vengono evidenziati siti frutto di segnalazioni, «che scaturiscono da denunce fatte sia da associazioni presenti sul territorio (il caso di Rosarno in provincia di Reggio Calabria e Triparni, frazione di Vibo Valentia), sia dai documenti desecretati del Sisde (Servizio per le informazioni e la sicurezza democratica) dove vengono menzionati Paesi in cui sarebbero stati occultati rifiuti tossico-radioattivi, ovvero da documenti derivati da fonti giudiziarie».
L’Istituto superiore di sanità, poi, sottolinea il contribuito determinante dato «alla creazione della Rete epidemiologica e di salute di popolazione della Regione Calabria a supporto della governance, e con il Progetto Sentieri (Studio epidemiologico nazionale dei territori e degli insediamenti esposti a rischio da inquinamento) ha reso disponibile una metodologia accreditata a livello europeo per la sorveglianza dello stato di salute delle popolazioni che risiedono nei siti contaminati».
Nel monitoraggio, infine, vengono riportati gli obiettivi della caratterizzazione dei siti inquinati, l’analisi di rischio degli stessi, l’incidenza dei tumori, gli indici di mortalità e di ospedalizzazione (con dati spesso superiori alla media regionale) e diversi casi di studio, tra cui quelli della provincia di Catanzaro, del Sin di Crotone, delle Serre calabresi e della valle dell’Oliva.

 

Condividi:

COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA

EDICOLA DIGITALE