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CACCURI – «Io sono contrario al segreto di Stato, ritengo che vada tolto se elementi di un’indagine servono per arrivare alla verità giudiziaria, per questo avevo chiesto di toglierlo per l’inchiesta Rinascita Scott. L’Italia è il Paese dei misteri e delle ombre. Il Paese in cui si continua a mantenere il segreto di Stato per 50 anni su cose su cui segreto di Stato non doveva esserci». Lo ha rivelato il procuratore di Catanzaro, Nicola Gratteri, conversando con Pietro Comito sul suo ultimo libro scritto insieme allo storico Antonio Nicaso, “La Costituzione, attraverso le donne e gli uomini che l’hanno fatta”, nell’ambito dell’undicesima edizione del Premio Caccuri.

Si è parlato molto dell’inchiesta che nel dicembre 2019 portò all’arresto di oltre 330 persone (e sfociata in processi a carico di oltre 450 imputati) e che per la prima volta svelò in modo palese intrecci tra ‘ndrangheta, massoneria e politica, volti a pilotare appalti e affari in cambio di voti e a drenare soldi pubblici.

RINASCITA SCOTT E IL SEGRETO DI STATO

Un’inchiesta quella denominata Rinascita Scott che, evidentemente, è arrivata così in alto da incrociare il segreto di Stato, se Gratteri ha chiesto la desecretazione di atti da versare nel maxi procedimento. Proprio l’esistenza del segreto di Stato impedisce all’Autorità giudiziaria l’acquisizione e l’utilizzo, anche indiretto, delle notizie sottoposte al vincolo. Filoni dell’inchiesta Rinascita Scott potrebbero, dunque, riservare nuovi colpi di scena con la rimozione del segreto di Stato perché, forse, quegli intrecci tra ‘ndrangheta, massoneria e politica sono ancora più stretti.

Non a caso quando Comito, accennando alle sue origini vibonesi, ha parlato di «provincia liberata dopo l’operazione Rinascita», incentrata appunto contro le cosche vibonesi, Gratteri ha annunciato che la Dda da lui guidata «farà ancora tanto nel distretto di Catanzaro» ricordando che «la ‘ndrangheta più dura è quella delle province di Vibo e Crotone», i territori in cui «c’era bisogno di uno sforzo ulteriore».

«Dobbiamo fare di più ma abbiamo bisogno della gente, a cui non chiediamo di rischiare la vita e di sovraesporsi. Quando ci avete dato il filo di Arianna non vi abbiamo mai abbandonato», ha detto ancora il procuratore facendo riferimenti alla sua grande disponibilità all’ascolto. «Se volete venire a denunciare ci siamo. Ricevo anche persone che vengono dal Nord e dall’estero, che poi indirizzo ai magistrati competenti. I calabresi non sono omertosi, se non denunciano è perché non si fidano e lo Stato li ha spesso delusi o abbandonati».

DRAGHI

Ma sono stati tanti i temi scottanti toccati da Gratteri, che non ha risparmiato critiche al Governo e ha esordito presentandosi come il «trombato procuratore nazionale antimafia», con riferimento alla bocciatura da parte del Csm che tanto ha fatto discutere.

«In 15 mesi il capo del Governo non ha mai pronunciato la parola mafia, e quando l’ho rilevato dalla Gruber il giorno dopo ne ha parlato alla mostra della Dia a Milano che forse veniva presentata per la sedicesima volta. Ma noi dal punto di vista normativo vorremmo sapere cosa è stato fatto contro la mafia, perché credo sia stato fatto il contrario di quello che serviva». Il riferimento è al discorso di Draghi che, sul finire del maggio scorso, nella sede di Milano Dia, finalmente parlò della mafia d’affari del Nord, ma anche alla contestatissima riforma della Giustizia del ministro Cartabia. Strali sull’ipocrisia del potere che Gratteri ravvisa anche quando ai convegni gli esponenti della classe dirigente si rivolgono ai giovani che sono il “futuro”.

«Il futuro è di tutti, anche del novantenne che quando fa la spesa sceglie se andare nel negozio della persona perbene o dello ‘ndranghetista. Tu adulto e potente che dici che il futuro sono i giovani, cosa fai per il loro futuro, per evitare che quei giovani siano i futuri disoccupati?».

GRAMMATICA

Un fiume in piena, Gratteri, soffermatosi anche sul dilagare dell’uso dei social da parte dei giovani. «Non accedo a Facebook, ma Facebook mi serve a qualcosa perché mi basta guardarlo dieci minuti per capire il livello di ignoranza che c’è in giro. Ci sono perfino professionisti che fanno errori di grammatica. Durante il giorno – ha ammesso il procuratore – ne devo correggere tanti di errori di grammatica. Ai giovani dico che devono studiare, e ai genitori di fare i papà e le mamme. Sgridate i figli ogni tanto, mica si traumatizzano, io sono stato preso a bastonate e cinghiate e sono ancora qua», ha detto il procuratore suscitando ilarità.

E ancora: «siamo seri, se non fanno i compiti non facciamoli andare in palestra, altrimenti come fanno a superare un concorso se non sanno scrivere in lingua italiana».

DEPISTAGGI

Gratteri, incalzato sulla sua intensa attività pubblicistica, si è poi soffermato sulle figure di cui ha scritto che più lo hanno affascinato, da Pertini, «vero padre della Nazione», a Falcone, col quale ha respinto accostamenti anche se ha ricordato che quando si candidò a consigliere del Csm ottenne soltanto 50 voti su un bacino di 500.

Ma, soprattutto, si è dilungato su quello che anche i magistrati definiscono il più grande depistaggio della storia. «Nessuno si aspettava che Falcone sarebbe stato ucciso. Avrebbe potuto essere ucciso mentre era a Roma, invece Cosa Nostra volle fare spettacolo. Tutti sapevano, invece, che Borsellino sarebbe stato ucciso. In quei due mesi saliva e scendeva da Roma anche due volte a settimana. Non poteva indagare su Capaci perché competente era la Procura di Caltanisetta. Ma se uno va a Roma ci va per mangiare il gelato o il cannolo? A Palermo sono molto più buoni. Se va a Roma ci va per parlare con persone che ricoprono importanti ruoli istituzionali, e lui segnava tutti gli incontri nella sua agenda rossa. La vedova ci dice che da Roma tornava sempre più preoccupato. Chi ha l’agenda rossa ha il filo di Arianna che porta ai mandanti della strage di Capaci».

TAPPARELLE

Ha spirito di osservazione, Gratteri, come si deve a un magistrato tra i più acuti. E quando Ugo Floro e Roberta Marzullo, i conduttori della serata, gli hanno chiesto se avesse gradito il trailer del film su Giuseppe Letizia, il dodicenne misteriosamente morto dopo aver assistito all’uccisione del sindacalista Placido Rizzotto nel 1948 (un format per la tv da un’idea di Emanuele Bertucci e per la regia di Giulia Zanfino), il procuratore ha detto che gli è piaciuto. Ma ha chiesto di verificare se «all’epoca ci fossero tapparelle verdi» come quelle che ha scorto in un fotogramma.

La prima serata del premio letterario è scivolata con leggerezza e profondità, riservando chicche inedite, come i brani del cantautore Dalen, nome d’arte di Pierluigi Virelli che ha presentato il brano “Crotone” sul dramma dell’alluvione. Suggestiva la conversazione di Cataldo Calabretta con Alessandro Riello, il pm scrittore, sul suo esordio letterario, “Delitto in contropiede”. Strepitoso il concerto di Gegè Telesforo, che a un certo punto ha lasciato la scena alla meravigliosa, riccioluta vocalist Daniela Spalletta, accompagnata dal creativo pianista Domenico Sanna, per una perla come “Zahara”. Trame di jazz e melodia siciliana. E il linguaggio universale della musica si è intrecciato con le parole per aggiungere nuove pagine a una storia che il Premio Caccuri scrive da undici anni.

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