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Nicola Gratteri, procuratore di Catanzaro

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REGGIO CALABRIA – «Io non ho bisogno di visibilità. Le mie conferenze stampa servono a gratificare la polizia giudiziaria e a comunicare all’opinione pubblica. Voglio spiegare ai commercianti e agli imprenditori che siamo in grado di fare le operazioni antimafia. Voglio dire loro “denunciate, fidatevi di noi, siamo affidabili”. Questo è il senso delle mie conferenze stampa. Non altro».

Così il procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri a Reggio in relazione alla legge «bavaglio» che regola la diffusione delle informazioni riguardanti i procedimenti penali e gli atti di indagine definita “un’involuzione democratica”. Il riferimento è alla norma, in vigore dal 14 dicembre, che di fatto «impone – ha precisato Gratteri – ai magistrati di non comunicare con i giornalisti in nome della presunzione di innocenza».

«Molti dicono che questa riforma l’hanno fatta per me. Ma figuratevi se, per la riforma, possono pensare a un pubblico ministero di campagna». Per il procuratore di Catanzaro non è vero che l’Italia si è adeguata alle direttive europee: «Quello che io non sopporto – ha detto ancora – sono innanzitutto le bugie. La seconda cosa che non sopporto è che quando si vogliono fare le cose, si mette sempre in mezzo l’Europa e ci dicono “ce lo chiede l’Europa”. Ma come: noi non facciamo parte dell’Europa?».

Le cose sono andate diversamente secondo il magistrato calabrese: «Quando è stato fatto quel discorso a Bruxelles riguardava la Turchia, non l’Italia. Infatti era da anni che l’Italia non aveva ratificato quella direttiva europea. Allora sono queste le domande che voi vi dovete porre».

Gratteri è stato molto critico non solo nei confronti della politica ma anche dell’Ordine dei giornalisti e del sindacato di categoria. «Quando questa riforma è stata fatta e si discuteva, l’Ordine e il sindacato dei giornalisti – ha detto – hanno detto che erano impegnati in altre cose. Non sono andati in commissione a dire che non sono d’accordo perché non poter far sapere all’opinione pubblica ciò che accade è un’involuzione democratica. Le professionalità ci sono. Io conosco tantissimi giornalisti seri, onesti e perbene. Ritengo, invece, che ci sia in generale una debolezza del giornalismo sul piano del potere contrattuale. Forse c’è meno indipendenza rispetto a prima anche se ci sono più modi di comunicare come il web. Spesso si viaggia in ordine sparso. Non si fa fronte comune».

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