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La presidente della Commissione parlamentare antimafia Rosy Bindi

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ROMA –  È una relazione shock quella presentata dalla presidente della Commissione parlamentare Antimafia, Rosy Bindi, sui rapporti tra massoneria e criminalità organizzata, in primi cosa nostra e ‘ndrangheta.

Secondo quanto riportato nel documento tanto la malavita siciliana quanto quella calabrese «da tempo immemorabile e costantemente fino ai nostri giorni nutrono e coltivano un accentuato interesse nei confronti della massoneria».

LA REPLICA DEL GOI ALLA COMMISSIONE ANTIMAFIA

In particolare «da parte delle associazioni massoniche si è registrata una sorta di arrendevolezza nei confronti della mafia. Sono i casi, certamente i più ricorrenti, in cui si riscontra una forma di mera tolleranza che si rivelano i più preoccupanti». 

Le interrelazioni tra i due mondi affiorano «in modo ricorrente nelle inchieste giudiziarie degli ultimi decenni, con una intensificazione nei tempi più recenti in connessione sia con vicende criminali tipicamente mafiose, soprattutto in Sicilia e in Calabria, sia con vicende legate a fenomeni di condizionamento dell’azione dei pubblici poteri a sfondo di corruzione».

Nel comune di Castelvetrano, luogo di origine del noto latitante Matteo Messina Denaro, insistono 6 logge massoniche su 19 che operano nell’intera provincia di Trapani e nell’amministrazione comunale della cittadina, nel 2016, 4 su 5 assessori erano iscritti alla massoneria e 7 su 30 tra i consiglieri. Nella relazione si evidenzia anche che i fatti di Castelvetrano fanno il paio con le indagini delle autorità siciliana e calabrese, queste ultime sfociate nei procedimenti «Fata morgana Mammasantissima e Saggezza».

In tutti i casi si evidenziano recenti episodi di infiltrazione mafiosa nella massoneria e si attualizzano gravi fatti del passato «che lasciavano supporre l’esistenza delle infiltrazioni di Cosa nostra e della ‘ndrangheta nella massoneria».

Rispetto al sequestro degli elenchi degli iscritti alla massoneria (LEGGI LA NOTIZIA), il documento della Commissione precisa che «non è stato possibile venire in possesso degli elenchi effettivi degli iscritti perché presso le sedi ufficiali forse neanche ci sono» e comunque «non consentono di conoscere un’alta percentuale di iscritti, occulti grazie a generalità incomplete, inconsistenti o generiche. Il vincolo di solidarietà tra fratelli consente il dialogo tra esponenti mafiosi e chi amministra la giustizia, legittima richieste di intervento per mutare il corso dei processi e impone il silenzio» come emerge «in un caso di estrema gravità».

Il caso del tribunale di Locri

Nella relazione presentata oggi dalla presidente dell’Antimafia Rosy Bindi si evidenzia il caso di un magistrato onorario che nel 2010 aveva denunciato, solo in ambito massonico, di aver subito pressioni ad opera di due confratelli perchè si adoperasse per intervenire sul giudice monocratico del tribunale di Locri per ottenere, in favore dei figli di uno dei due, sottoposti a procedimento penale per ricettazione, la derubricazione del reato. Nel 2012 il magistrato fu ulteriormente sollecitato da un altro dei suoi fratelli di loggia, perchè intervenisse presso i magistrati della procura distrettuale di Reggio Calabria per perorare la causa di un terzo massone, già consigliere della Regione Calabria, avendo questi saputo che, nell’ambito di una indagine antimafia coperta da segreto, si stava vagliando la sua posizione. L’ex consigliere regionale è stato poi arrestato insieme ad altre 13 persone e condannato a 12 anni di reclusione.

L’antimafia critica il fatto che non siano state avvertite le autorità civili «degli evidenti indizi di violazione delle norme penali. Nemmeno dal magistrato onorario risulta alcuna denuncia. L’agire massonico si è pericolosamente atteggiato ad ordinamento separato dallo Stato. Probabilmente un atteggiamento diverso gioverebbe alla massoneria: si abbatterebbe il pregiudizio nei suoi confronti e si ridurrebbe il rischio di pericolose zone grigie», conclude la relazione Bindi». 

La possibile fusione tra associazioni e massoneria

C’è un persistente «interesse delle associazioni mafiose verso la massoneria fino a lasciare ritenere a taluno che le due entità siano divenute una cosa sola». Ipotesi inquietante, quella sostenuta dall’Antimafia che però precisa: «Ciò non significa criminalizzare le obbedienze».

Dei circa 17 mila iscritti alle quattro obbedienze la gran parte di loro appartiene al mondo delle professioni (medici, avvocati, ingegneri, commercialisti). C’è una certa presenza delle forze dell’ordine e, fino a diversi anni addietro, di magistrati e politici. 

La presidente Bindi evidenzia tuttavia come in diversi casi non venga coltivato dalle obbedienze «il primario interesse alla impermeabilità dalle mafie» e come spesso il preteso rispetto delle leggi da parte della massoneria «si è rivelato più apparente che reale». In particolare la relazione della Commissione parlamentare antimafia bacchetta «la segretezza, che permea il mondo massonico (e quello mafioso)… il segreto costituisce il perno di alcune obbedienze».

Il documento parla di «un senso di riservatezza a dir poco esasperato». L’insieme di queste regole viene «suggellata da una sorta di supremazia riconosciuta alle leggi massoniche rispetto a quelle dello Stato». «Peculiare appare il giuramento del Goi, il Grande oriente d’Italia, in cui l’affiliato è tenuto a osservare la Costituzione «quasi si riservi un giudizio di legittimità costituzionale massonico sulle leggi che dunque non sono da rispettare sic et simpliciter ma solo se da essi ritenute conformi al dettato costituzionale».

Sul fronte dei numeri emerge che degli oltre 17 mila iscritti nelle obbedienze esaminate nelle regioni Sicilia e Calabria, la gran parte, oltre 9 mila, insiste nelle logge calabresi; in Sicilia gli iscritti sono 7.819. Per uno su sei nominativi presenti negli elenchi (quasi 3 mila nomi) non è stato possibile procedere alla completa identificazione poichè mancavano dati anagrafici essenziali. Oltre mille di questi 3 mila soggetti sono risultati anagraficamente inesistenti, altri 1800 privi di generalità complete, altri 80 indicati con le sole iniziali del nome o del cognome»

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