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Soccorritori sulla spiaggia di Steccato di Cutro

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CUTRO – «Non ho mai visto tanti cadaveri». Parola di lupo di mare. Uno di quelli impegnati in prima linea sul fronte dell’immigrazione. L’esperienza è tanta, la professionalità acquisita negli anni è rodatissima, ma si è sempre uomini in carne e ossa e vedere corpicini svestiti dalla furia delle onde è atroce. Qualcosa che difficilmente si riesce a dimenticare, quando si torna a casa dopo una giornata impiegata a raccogliere cadaveri.

«È stata una corsa a recuperare salme, la risacca le portava via ogni volta che ci avvicinavamo e privava quei corpi di dignità, togliendo loro gli indumenti. Soltanto le prime vittime che abbiamo recuperato avevano i vestiti, le altre no, non li avevano più», spiega un militare della Capitaneria di porto di Crotone. Uno che ne ha viste tante. Uno di quelli che è intervenuto ogni volta che c’erano naufragi, in questo lembo di costa jonica, e, attirato da voci di migranti che rischiavano di annegare, da urla disumane talvolta, talvolta da gorghi provenienti da sott’acqua, ha salvato tante vite.

Tante volte non c’era più nulla da fare, ma la speranza di tirare su qualcuno vivo non muore mai. Stavolta no, era diverso. Stavolta niente urla. Niente voci. Niente gorghi. Soltanto un silenzio assordante, ancora più inquietante delle urla perché vuol dire che i disperati precipitati dal barcone spezzatosi in due, dinanzi alla spiaggia di Steccato di Cutro, è ormai impossibile estrarli vivi dalle acque. Perché quello specchio di mare si è trasformato in un campo di morte.

Militari della Capitaneria di porto e vigili del fuoco specializzati nelle ricerche di persone in mare lo hanno battuto palmo palmo, quel tratto, consapevoli che era difficile trovare qualcuno vivo, ormai. Perché si può resistere un quarto d’ora, forse 20 minuti, in mare, con quelle temperature, che, nelle vicinanze immediate della foce del fiume Tacina, sono ancora più rigide. Forse l’ipotermia è subentrata prima dell’annegamento, ed è stata una strage, con 63 vittime accertate, ma i dispersi sono ancora decine. A terra, invece, lo strazio di chi sopravvive. Le urla di una donna che ha perduto un figlio, forse un marito. Un’altra scena difficile da dimenticare.

Un altro che ne ha viste tante è David Morabito, capo reparto dei sommozzatori dei vigili del fuoco di Reggio Calabria. Tra i testimoni della tragedia di Lampedusa del 2013, per lui si tratta di «un film già visto». Ma anche se il copione si ripete, il dolore si rinnova ogni volta e ieri, dopo il recupero di altre tre salme avvenuto nella notte, aveva ancora stampata in volto l’immagine di «una ragazza sui 25 anni», tra le vittime rintracciate, e nella testa il suono straziante delle «urla dei bambini sott’acqua». «Addosso aveva ancora qualche vestito, ma molti la furia del mare li spoglia». Per tutto il giorno lui e i suoi uomini hanno inseguito target segnalati dai mezzi aerei, e quando terminerà il moto ondoso le ricerche saranno fatte dai sub.

Ma ieri sulla spiaggia di Steccato è tornato anche un volontario. Il pescatore Vincenzo Luciano con la sua jeep ha aiutato la guardia costiera per tutta la prima giornata della tragedia. «Insieme ai fratelli Antonio e Teodoro Grazioso abbiamo avvistato una quindicina di morti mentre percorrevamo la spiaggia come facciamo sempre, prima di andare a pesca. La barca ancora non si era infranta – racconta Luciano – ma subito dopo si è sfracellata». Si facevano luce col telefonino, era buio, ancora non erano arrivati i soccorritori. «Abbiamo tirato fuori dalle acque una quindicina di corpi, subito dopo è arrivata la Capitaneria».

Forse perché non ci sono più parole di fronte a una tragedia di proporzioni immani come quella consumatasi all’alba di domenica scorsa, il comandante generale delle Capitanerie di porto, l’ammiraglio Nicola Carlone, non ha voluto dire nulla ai giornalisti. Ha soltanto voluto stringere le mani ai suoi uomini e ai colleghi dei vigili del fuoco per ringraziarli e invitarli a continuare a fare il loro prezioso lavoro di lupi di mare.

Sotto il gazebo della Croce rossa, i cadaveri coperti da teli bianchi ieri erano soltanto quattro, a fronte dei 59 del giorno prima, poi trasferiti al Palamilone di Crotone. Fanno anche questo i lupi di mare. Recuperare corpi senza vita.

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