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BOLOGNA In una memoria presentata nell’udienza davanti al tribunale del Bologna, Nicolino Grande Aracri, ritenuto un boss della ‘ndrangheta, ha sostenuto come argomento difensivo di non essere lui il personaggio chiamato “Manuzza” o “il giovanotto”, cui si riferiscono alcune intercettazioni agli atti dell’inchiesta Aemilia della Dda. Grande Aracri, che nell’indagine della Procura di Bologna è stato raggiunto da misura di custodia cautelare, ma non risponde di associazione a delinquere di tipo mafioso. Si trovava nel carcere milanese di Opera, da dove ieri si è collegato con l’aula in videoconferenza per dichiarazioni spontanee.

Gli inquirenti – l’accusa è sostenuta dai Pm Marco Mescolini e Beatrice Ronchi – ritengono tuttavia senza dubbio che la persona indicata coi nomignoli sia la stessa, e che sia Grande Aracri. Questo lo desumono, tra l’altro, da un suo ricovero in ospedale a Roma, prima dell’arresto: da una conversazione intercettata due persone dicevano che sarebbero andati a trovare “il giovanotto” in ospedale. Sempre in quell’occasione, peraltro, gli investigatori che volevano predisporre un’intercettazione ambientale non ci riuscirono, perché qualcuno, che si ritiene fosse interno all’ospedale, avvisò il paziente.

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