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La lettura della sentenza del processo Aemilia

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REGGIO EMILIA -Ci sono volute quasi 8 ore per convincere Francesco Amato ad arrendersi e a lasciare andare gli ostaggi. Da questa mattina intorno alle 10 il pregiudicato 55enne, condannato a 19 anni di carcere nell’ambito del processo Aemilia (LEGGI LA NOTIZIA) e resosi irreperibile dopo la sentenza, si era asserragliato nell’ufficio postale di Pieve Modolena, in provincia di Reggio Emilia. “Vi ammazzo tutti, sono stato condannato a 19 anni”, ha gridato brandendo un coltellaccio da cucina con una lama da 35 centimetri.

Poi ha fatto uscire tutte le persone presenti ad eccezione delle quattro dipendenti e della direttrice. Con il passare delle ore una di loro, la cassiera 54enne Annalisa Coluzzo, si è sentita male ed era stata liberata. Le colleghe, invece, hanno dovuto aspettare il tardo pomeriggio, quando Amato spontaneamente ha aperto la porta e si è consegnato ai carabinieri. Arrivare a una resa pacifica non è stato facile. Ci sono voluti “tempo, pazienza e dialogo coi negoziatori, che gli hanno fatto capire che non avrebbe potuto ottenere quello che chiedeva”, ha spiegato il colonnello Clemente Desideri, comandante provinciale dei carabinieri Reggio Emilia.

L’uomo inizialmente aveva chiesto di poter parlare con il ministro della Difes, Elisabbeta Trenta, e subito dopo con il ministro dell’Interno, Matteo Salvinini, per spiegare che lui con la ‘ndrngheta non c’entra nulla e che la pesante condanna che gli è stata inflitta in realtà è ingiusta. Colloqui che però non sono avvenuti. Per riportare la situazione alla calma non è stato nemmeno necessario l’intervento delle teste di cuoio schierate fuori dall’ufficio postale, ma è bastato l’intenso lavoro di mediazione dei negoziatori che per ore hanno dialogato con il pregiudicato convincendolo a desistere.

Subito dopo la resa, il 55enne è stato portato in caserma. Il blitz delle forze dell’ordine è stato accolto da applausi ironici da parte di numerosi parenti e amici di Amato che quando lo hanno visto uscire in manette dall’ufficio postale hanno gridato: “Bravo Francesco, bravi voi che avete sconfitto la `ndrangheta!”.  Dopo oltre otto ore, gli ostaggi sono usciti dall’ufficio postale di Pieve di Modolana, dove erano trattenuti da Francesco Amato, condannato nel processo Aemilia. Francesco Amato è stato visto salire su un’auto dei carabinieri. Gli ostaggi sono stati tutti liberati.

«Siamo chiusi dentro. Il signor Amato vuole parlare con Salvini. Lo vedo. Sono all’interno, il signor Amato sta parlando: vuole Salvini. Parla con i Carabinieri, con noi. Ha un coltello in mano. Io lavoro qui; siamo in quattro. Il signore è qui da parecchie ore. Ha detto che se apriamo la porta qualcuno fa una brutta fine e quindi siamo trincerati dentro». Con queste parole uno degli ostaggi, un’impiegata dell’ufficio postale di Pieve Modolena frazione di Reggio Emilia, ha descritto la situazione intervistata da Marco Sabene del Giornale Radio Rai. 

CHI È FRANCESCO AMATO CONDANNATO NEL PROCESSO AEMILIA

Francesco Amato, 55 anni, è originario di Rosarno, in provincia di Reggio Calabria, ed è stato condannato il 31 ottobre a 19 anni e un mese di reclusione nel processo Aemilia, con l’accusa di essere uno degli organizzatori dell’associazione ‘ndranghetistica.

Amato fu arrestato il 28 gennaio del 2015 e rinviato a giudizio il 21 dicembre dello stesso anno. 

Assieme al fratello Alfredo, secondo i magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Bologna era «costantemente in contatto con gli altri associati (e della famiglia Grande Aracri) in particolare per la commissione su richiesta di delitto di danneggiamento o minaccia a fini estorsivi, commettendo una serie di reati».

Nel 2016, all’inizio del processo, lo stesso Amato aveva affisso un cartellone provocatorio davanti al tribunale di Reggio Emilia, scritto a pennarello e pieno di invettive. Amato si era autodenunciato poi in aula definendosi l’autore di quel cartellone in cui, diceva, «era anche contenuto il nome dell’autore delle presunte minacce al presidente del tribunale di Reggio Emilia Cristina Beretti», per le quali sono state arrestate nelle scorse settimane due persone, tra le quali un sacerdote.

Il processo Aemilia ha visto il 31 ottobre la conclusione del suo dibattimento, con 118 condanne per oltre 1.200 anni di carcere e altre 24 in abbreviato: tra questi anche l’ex calciatore Vincenzo Iaquinta (due anni per reati di armi, ma senza aggravante mafiosa) e 19 per il padre Giuseppe (LEGGI LA NOTIZIA SUL TRASFERIMENTO IN CARCERE DI GIUSEPPE IAQUINTA). Sempre in abbreviato, sono già definitive in Cassazione le condanne per i promotori dell’associazione a delinquere di stampo mafioso contestata dalla Dda, che nel 2015 fece scattare oltre 160 arresti, assestando un forte colpo alla «Ndrangheta imprenditrice».

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