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CUTRO (KR) – Il racket sul turismo e l’usura imperversavano da 40 anni, anche dopo gli arresti messi a segno nell’ambito dell’operazione Malapianta, con cui la Guardia di finanza di Crotone aveva disarticolato, nel maggio 2019, i tentacoli della cosca Mannolo Trapasso Zoffreo Falcone, perché i titolari dei villaggi lungo un vasto litorale ma anche imprenditori e commercianti dell’area a cavallo tra le province di Crotone e Catanzaro continuavano a pagare ai familiari dei presunti affiliati ormai detenuti.

Per questo il pm Antimafia Domenico Guarascio ha chiesto 12 condanne contro i presunti esponenti del clan nell’ambito del processo col rito abbreviato scaturito dall’inchiesta che un anno fa portò all’operazione Jonica.

La pena più alta, a 14 anni di reclusione, il pm l’ha sollecitata per il presunto boss Alfonso Mannolo, di 84 anni. Sette anni è la pena chiesta per Santino Caterisano (54); 6 anni e 6 mesi quella proposta per Albano Mannolo (53), di Cutro; 10 anni per Antonio Mannolo (54); 3 anni per Carmelina Mannolo (57); 6 anni e 6 mesi per Leonardo Mannolo (29); 8 anni per Remo Mannolo (51); 4 anni e 6 mesi per Vincenzo Mercurio (20), di Botricello; 7 anni e 6 mesi per Carmine Ranieri (45), di Botricello; 7 anni e 6 mesi per Giuseppe Trapasso (36), di Cutro; 10 anni per Fiore Zoffreo (56), di Cutro;3 anni per Dante Mannolo (55), collaboratore di giustizia. Gli imputati sono tutti di San Leonardo di Cutro tranne Mercurio e Ranieri, che sono di Botricello, centro limitrofo del Catanzarese.

Alcuni imprenditori, secondo la ricostruzione della Guardia di finanza di Crotone e della Dda di Catanzaro, pagavano da 20 anni, ma i loro familiari pagavano dai 20 anni precedenti. Le famiglie di ‘ndrangheta stanziate nel piccolo borgo che s’affaccia su un golfo incantevole, prima organiche alla “provincia” mafiosa di Cutro capeggiata dal boss di Cutro Nicolino Grande Aracri, dal 2009 avevano costituito un autonomo “locale” di ‘ndrangheta che, sia pur dipendente dal capocrimine ergastolano, dettava legge lungo la fascia costiera da Cutro a Sellia Marina, neutralizzando concorrenza e libero mercato.

Il clan sanleonardese è stato colpito a più riprese negli ultimi anni ma è con l’operazione Malapianta che è emerso il racket ultraventennale ai villaggi Serené e Porto Kaleo imposto dal boss Alfonso Mannolo e dai figli Remo e Dante: quest’ultimo, dopo il pentimento, ha contribuito a fare luce sulla spartizione dei complessi turistici vessati. Informazioni, quelle fornite dal pentito ai pm, che si saldano a quelle offerte dai titolari di cinque impianti turistici, ai quali ha fatto da apripista Giovanni Notarianni, titolare di Porto Kaleo, oggi testimone di giustizia. Ed è emerso un progetto estorsivo di vasta portata che riguarda, in modo sistematico, le strutture ricettive di una grossa fetta di litorale jonico. A ciascuna famiglia era affidato un determinato villaggio da cui ricavare illecitamente proventi tramite pratiche estorsive.

Era un diritto di estorsione e usura quello che gli affiliati ritenevano di poter esercitare anche quando erano in carcere, e così si attivavano i familiari in libertà, le nuove leve, o presunte tali. Giuseppe Trapasso, nipote di Giovanni, condannato per associazione mafiosa nel processo Borderland, avrebbe vessato Francesco Greco, gestore del bar Macfly di Cropani Marina, con la motivazione che bisognava sostenere i carcerati. Greco alla fine ha confermato ai finanzieri di aver pagato somme di 600, 700 euro consegnati materialmente in due tranche a Carmine Ranieri, stretto collaboratore di Giuseppe Trapasso.

Estorsioni anche attraverso la fornitura di materiali e manodopera: Felice Falcone (che ha scelto il rito ordinario) e Fiore Zoffreo avrebbero costretto Gianpiero Caruso, titolare della società Euroturist gerente il villaggio Santa Monica a San Leonardo di Cutro, a consegnare 23mila euro euro annui (dal 2001 al 2018) nonché ulteriori 10mila euro attraverso un bonifico bancario eseguito mediante il pagamento di una fattura per lavori mai svolti. Ancora, nei confronti della stessa azienda, dal 2012 al 2016, Dante Mannolo e un affiliato deceduto avrebbero imposto, sempre con minacce di morte, di avvalersi, per la fornitura del caffè, della ditta individuale di Pietruccia Scerbo, moglie di Mannolo, per circa 15 mila euro.

Non certo da meno quanto accaduto alla società Aurum Triton, conduttrice del villaggio Triton di Sellia Marina, rappresentata legalmente da Francesco Orofino, al quale sarebbe stato imposto, da Alfonso Mannolo e Salvatore Giannotti (che ha scelto il rito ordinario), la corresponsione di un sovraprezzo applicato sul contratto di manutenzione edile stipulato con la società Il Sarago, riconducibile allo stesso Giannotti. Un sovraprezzo di 30mila euro pagati in contanti annualmente, in due tranche, tra il 2005 ed il 2017, per una somma complessiva di 390 mila euro.

C’era anche l’imposizione del servizio di guardiania: dai condomini del villaggio Alcioni, a San Leonardo di Cutro, Antonio Mannolo avrebbe preteso il pagamento di una quota annuale di 300 euro per nucleo familiare (dal 2003 al 2018), per un un introito estorsivo complessivo di 150mila euro. Il controllo del territorio era militare: sotto la lente delle sentinelle del clan finivano le auto “sospette”, quelle delle forze dell’ordine, ed erano periodiche le bonifiche dei luoghi chiusi, al fine di rilevare microspie in modo da neutralizzare indagini.

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