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Le ricerche dei corpi di Rosario e Salvatore Manfreda

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PETILIA POLICASTRO (CROTONE) – Per il duplice omicidio di Rosario e Salvatore Manfreda, padre e figlio, scomparsi nel nulla a Pasqua 2019 e i cui corpi furono trovati nel settembre dello stesso anno a Mesoraca, in un burrone nella località Caravà, il pm Alessandro Rho ha chiesto condanne all’ergastolo nei confronti di Pasquale e Salvatore Emanuel Buonvicino, di 56 e 24 anni, padre e figlio, di Petilia Policastro, e Pietro Lavigna, di 54 anni, di Mesoraca. Contestualmente, il sostituto procuratore presso il Tribunale di Crotone ha chiesto l’applicazione della misura cautelare in carcere per Lavigna, l’unico imputato a piede libero, e l’isolamento diurno per 24 mesi per Buonvicino e per 20 mesi per lo stesso Lavigna.

Movente del duplice omicidio, secondo l’accusa, contrasti per confini di terreni tra allevatori. L’arma utilizzata dai killer è probabilmente un fucile dai colpi del quale Salvatore Manfreda, in particolare, fu raggiunto al capo, poco distante dal luogo in cui furono ritrovati i corpi, nei pressi dell’azienda dei Manfreda, che erano andati a dar da mangiare agli animali, perfino la domenica di Pasqua.

L’inchiesta verte sulle immagini registrate da impianti di videosorveglianza che riprendono un corteo di quattro auto, quelle dei tre imputati e la Ford “Maverick” degli scomparsi, rinvenuta bruciata nella località Caravà. Secondo l’accusa, gli imputati, compiendo manovre anomale a mo’ di scorta, avrebbero abbandonato i loro poderi per raggiungere luoghi che nulla hanno a che fare con la loro attività lavorativa, ovvero l’area in cui fu trovata carbonizzata l’auto delle vittime, su cui peraltro fu avvistato all’andata Pasquale Buonvicino che, al ritorno, era sulla Panda del figlio. Nel materiale probatorio è confluita anche la minaccia «Siete tre bianchi che camminano» che Pasquale Buonvicino avrebbe rivolto a Rosario Manfreda per uno sconfinamento di vacche. Una minaccia, risalente al 2017, che Buonvicino avrebbe pronunciato nei confronti anche di due figli di Manfreda. Il riferimento sarebbe alla famigerata “lupara bianca”, il modus operandi consolidato a Petilia, il paese degli scomparsi, con cui la ‘ndrangheta si sbarazza delle proprie vittime per evitare sospetti da parte delle forze dell’ordine; fu, del resto, questa la sorte della testimone di giustizia Lea Garofalo, assurta ad icona antimafia.

Non è comunque contestata alcuna aggravante mafiosa. Alla richiesta di condanna si sono associati gli avvocati di parte civile Walter Parise e Giovambattista Scordamaglia, che hanno sollecitato anche il risarcimento dei danni da quantificare in separata sede. Il processo davanti alla Corte d’Assise di Catanzaro prosegue il prossimo 18 maggio. In quella data interverranno l’altro avvocato di parte civile, Pietro Pitari, e i difensori degli imputati, gli avvocati Francesca Buonopane, Saverio Loiero, Sergio Rotundo, Gregorio Viscomi.

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