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Il blitz dell'operazione Perseverance

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CUTRO (KR) – «L’antica legge dei cutresi fatturisti». Quella che stabilisce come lucrare con le false fatturazioni. Anche in caso di sequestro da parte dell’autorità. Così il gup distrettuale di Bologna Claudio Paris ripercorre i motivi per cui, nel dicembre scorso, inflisse 22 condanne nel processo col rito abbreviato scaturito dall’inchiesta che nel marzo 2021 aveva portato all’operazione Perseverance, condotta dai carabinieri contro la filiale emiliana della super cosca Grande Aracri di Cutro, con al vertice, secondo l’accusa, l’ultimo dei fratelli Sarcone rimasti in libertà, Giuseppe Grande Sarcone, il quale, a differenza dei fratelli Nicolino, il più autorevole in senso criminale, capo conclamato della cellula reggiana e già condannato nel processo Aemilia, ma anche di Carmine e Gianluigi, era sfuggito alle inchieste che a più riprese hanno colpito l’articolazione al Nord del clan. Erano state, in buona sostanza, accolte le richieste avanzate dalla pm Antimafia Beatrice Ronchi.

La pena più alta, a 18 anni di reclusione, era stata disposta proprio per Giuseppe Sarcone Grande, che, per il tramite di prestanome, avrebbe, di fatto, gestito varie attività economiche nelle province di Modena e Reggio Emilia, dalle sale scommesse alle officine meccaniche, dalle carrozzerie alle società immobiliari. Proprio lui avrebbe illustrato la “legge” dei fatturisti nel corso di una conversazione intercettata.

«Allora, la legge dice…». Al centro dell’inchiesta ci sono non a caso le attività economiche del gruppo Sarcone, «sotto più profili illegali – scrive il gup – sia perché strumento di reinvestimento dei proventi illeciti frutto della azioni più propriamente criminali dei quattro fratelli, sia perché mascherate da compiacenti prestanome». Questi sono stati individuati, dapprima, all’interno della stessa cerchia familiare, ed in un secondo momento (quando anche l’ultimo di loro esaurisce il “credito sociale” in seguito al coinvolgimento in vicende giudiziarie), in personaggi contigui alla consorteria ovvero, ancora, in quella nutrita schiera di “scappati di casa”, per usare le parole dello stesso Sarcone Grande, cioè «disposti a mettersi a disposizione di chiunque pur di sbarcare il lunario», come rileva il gip.

Interessante anche il capitolo sull’«imponente e lucrosa attività di false fatturazioni per operazioni inesistenti, che rappresenta uno degli affari illeciti d’elezione del sodalizio ‘ndranghetistico emiliano», come del resto era già emerso nel processo Aemilia.

«Il sistema è tristemente noto – osserva il giudice – viene emessa una fattura in relazione ad un’inesistente operazione commerciale nei confronti di una ditta terza che se ne servirà per evadere le imposte; segue, da parte di quest’ultima, l’effettivo esborso della somma corrispondente che tuttavia verrà restituita dall’emittente previo scomputo della percentuale convenuta». Un sistema che trova «conferma anche nell’odierna indagine», come emerge da una «straordinaria e granitica mole di atti», a partire dall’«autorevole lezione sulla risalente legge dei “fatturisti cutresi”» che Sarcone Grande, nel mentre pianifica un’estorsione, impartisce al sodale Domenico Cordua.

«In caso di sequestro da parte delle autorità inquirenti della somma oggetto della falsa fattura prima della restituzione, se il fatturista cutrese che l’aveva emessa si era riservato la non esigua percentuale del 10%, allora la restituzione sarà ugualmente dovuta; non così nel caso in cui la percentuale convenuta sì fosse attestata intorno al 3 o 4%». Incorreva in biasimo chi non si atteneva alla “norma”. «C’era una legge, una volta funzionava, una legge di cutresi fatturisti, se mi stai facendo il dieci e stiamo lavorando da una vita, allora me li devi restituire».

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