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Il luogo dell'omicidio di Cataldo Aloisio

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Ecco i motivi dei 5 ergastoli comminati in appello per l’omicidio di Cataldo Aloisio, tutti gli intrecci di ndrangheta del locale di Cirò Marina

CIRÒ MARINA – «Non può dirsi, al contempo, provato oltre ogni ragionevole dubbio che Vincenzo Rispoli ricevette mandato dai vertici della cosca cirotana, individuati pro tempore nel fratello del capo storico ed in Cataldo Marincola…E poi, per altro verso, assolvere i predetti perché non v’è prova sufficiente ch’essi abbiano commesso il fatto». Perché «se così fosse, per coerenza, andrebbe assolto in sintonico sinallagma anche Rispoli. Se non v’è piena prova sui mandanti, non può esservi piena prova ch’egli, mero mandatario, abbia ricevuto proprio da costoro mandato ad uccidere».

Si conoscono i motivi per cui, nel giugno scorso, la Corte d’Assise d’Appello di Milano confermò la condanna all’ergastolo per Vincenzo Rispoli, boss di Legnano e Lonate Pozzolo, cellula al Nord del “locale” di ‘ndrangheta di Cirò, e inflisse la massima pena anche ai quattro assolti in primo grado, in accoglimento delle richieste della pm della Dda di Milano Cecilia Vassena, applicata anche in secondo grado, nel processo per l’omicidio di Cataldo Aloisio, commesso il 27 settembre 2008 davanti al cimitero di San Giorgio su Legnano.

LA DECISIONE DELLA CORTE D’APPELLO E I 5 ERGASTOLI PER L’OMICIDIO DI CATALDO ALOISIO

La Corte d’assise d’appello di Milano riformava quasi in toto la sentenza emessa dalla Corte d’Assise di Busto Arsizio e impugnata dalla Dda del capoluogo lombardo. Pesavano molto, le assoluzioni di Silvio Farao e Cataldo Marincola, capi storici dell’omonima cosca, denominata appunto Farao Marincola. Di Francesco Cicino, l’unico non cirotano del gruppo. E Vincenzo Farao, fratello del pentito Francesco Farao, e quindi figlio del boss Giuseppe Farao e cognato della vittima. La Corte d’assise d’appello non condivise gli argomenti degli avvocati Salvatore Staiano, Sergio Rotundo, Gianni Russano, Michele D’Agostino, Emanuele Occhipinti, giungendo al verdetto senza peraltro esaminare un nuovo pentito, Gaetano Aloe, ritenendo «non imprescindibile» la nuova prova sopraggiunta.

L’input per ridare impulso alle indagini era giunto, del resto, dalle rivelazioni del pentito Francesco Farao, peraltro cognato della vittima. Farao saltò il fosso dopo la mega operazione Stige del gennaio 2018, ed è anche fratello di uno degli imputati nonché figlio del capo supremo del clan. Fu lui a fare i nomi di presunti mandanti ed esecutori. Aloisio era intenzionato a vendicare la morte dello zio Vincenzo Pirillo, assassinato a Cirò Marina nell’agosto 2007 mentre cenava in un ristorante con i familiari (e lo conferma anche Aloe, che si autoaccusa del delitto Pirillo).

L’INCONTRO CON I LATITANTI MARINCOLA E FARAO

Il figlio del boss ha raccontato anche dell’incontro con i latitanti Marincola e Silvio Farao in un luogo di montagna, nell’altopiano silano. Insieme al cugino Giuseppe, il pentito avrebbe avuto una lunga conversazione con Marincola mentre un gruppo di sette, forse otto persone presidiavano la zona. I giudici ritengono affidabili lui e gli altri pentiti. «Fermo e condiviso il giudizio di credibilità soggettiva e attendibilità di quanto dichiarato dai collaboratori Francesco Farao e De Castro Emanuele; rivisto il giudizio sul collaboratore Oliverio Francesco, dopo averne disposto nuova escussione» è detto, tra l’altro, in sentenza.

Ma veniamo al summit. Subito dopo i saluti di rito, la discussione assunse una piega inaspettata quando Marincola, forte del silenzio di Silvio Farao, si riferì ad Aloisio con toni di disprezzo che lasciavano intendere l’imminente spedizione punitiva. «Se la sarebbero vista loro». La Corte d’Assise d’Appello rileva che è stata «erroneamente» attribuita la «qualità di testimonianza indiretta», peraltro in accoglimento dei rilievi difensivi, alla testimonianza di Farao. Per i giudici è uno «svilimento di quanto da lui riferito come esperienza diretta per l’incontro avuto con i due latitanti».

Perché Francesco Farao «ricevette da quel colloquio, e specificamente per bocca di Cataldo Marincola, la notizia che questi e Silvio Farao, partecipe silente di quell’incontro, avevano assunto su di loro il compito di risolvere il problema per il gruppo di appartenenza». Insomma, «Se pure Cataldo Marincola non disse espressamente e a chiare lettere che avevano conferito mandato per l’eliminazione fisica di Cataldo Aloisio, non è dubbio che questo fu il contenuto di quanto Cataldo Marincola disse, e Francesco Farao potette percepire.

CATALDO ALOISIO, L’ORGANIZZAZIONE DELL’OMICIDIO ALLA BASE DEI 5 ERGASTOLI

Secondo il narrato di quest’ultimo, Cataldo Marincola disse che Cataldo Aloisio era persona indegna perché si comportava male nei confronti degli appartenenti al gruppo, perché aveva manifestato l’intenzione di far del male a qualche componente dello stesso. E alla immediata reazione di Francesco Farao, che replicò che sarebbe intervenuto lui presso il cognato, se del caso costringendolo anche con la violenza a cambiare atteggiamento. Cataldo Marincola profferì una frase, inequivocabilmente rivelatrice del progetto omicida. Ossia che era un problema loro e lui non doveva intromettersi e preoccuparsi, perché ci avrebbero pensato loro».

La conclusione è che «È stato, dunque, depotenziato e svilito – così come lamentato dalla Pubblica Accusa – il contenuto di un colloquio che dà conto al teste diretto Farao Francesco del decretato proposito criminoso. Col rilevare ambiguità o polivalenze nel dialogo (e nel silenzio del compresente Silvio) in realtà insussistenti, con la conseguenza che la posizione dei due imputati va rivalutata e riscritta». A distanza di circa 15 giorni dall’esecuzione, il pentito sarebbe stato “convocato” dal cugino Vittorio, figlio di Silvio. Oggetto del summit: il freddo saluto da lui girato ai plenipotenziari del clan Pino Sestito e Ciccio Castellano.

FARAO E LA REAZIONE ALL’OMICIDIO DEL COGNATO

Del resto, era stato ammazzato il cognato e i pezzi da novanta non potevano non sapere nulla, e Francesco Farao non aveva voglia di sorridere. Durante il colloquio, svoltosi nei vicoli di Cirò Superiore, il pentito sarebbe venuto a conoscenza del fatto che il delitto era stato commissionato congiuntamente da Cataldo Marincola e dallo zio Silvio Farao. Ed eseguito dal fratello Vincenzo e dal cugino Vincenzo Rispoli. Sempre il cugino gli avrebbe svelato che Aloisio era stato ucciso a bordo di un’auto guidata da Rispoli raggiunto da un colpo di pistola esploso da Vincenzo Farao, che occupava il sedile posteriore (mentre Aloisio era seduto al lato del passeggero).

Dopo l’assassinio, l’auto era stata portata presso un centro demolizione e distrutta. Ma si è aggiunto anche il pentito Emanuele De Castro. Uno degli esponenti dell’articolazione al Nord, che ha fatto pure lui rivelazioni sul delitto e la cui testimonianza è sì de relato, ammettono i giudici, ma basata su fonte “qualificata” essendo stato lui il “braccio destro” di Rispoli di cui raccolse le “confidenze”.

CINQUE ERGASTOLI PER L’OMICIDIO ALOISIO, IL MOVENTE DEI KILLER

Il movente dell’omicidio? Aloisio era diventato troppo scomodo per i vertici del clan. Sia per i rapporti di collaborazione avviati con i carabinieri, sia per i propositi di vendetta dell’omicidio dello zio. Quindi rappresentava sotto diversi profili una minaccia per gli equilibri interni del gruppo criminale. E sebbene fosse coniugato con la figlia del capo storico della cosca, i reggenti del sodalizio avrebbero deciso di eliminarlo. Insomma, «pienamente provato» il ruolo di Marincola e Silvio Farao quali mandanti. Perché dinanzi a Francesco Farao fu pronunciata «una vera e propria condanna a morte dell’Aloisio, con tanto di motivazione sottesa. È un pisciaturo di m…. vuol “toccare” uno di noi».

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