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Chieste nove condanne per la cosca di ‘ndrangheta Corigliano-Comito, i cui tentacoli si allungavano da Rocca di Neto fino a Manhattan

ROCCA DI NETO (CROTONE) – Nove richieste di condanna e una di assoluzione: sono le proposte del pm antimafia Paolo Sirleo nel processo contro la cosca di ‘ndrangheta Corigliano-Comito, i cui tentacoli si allungavano da Rocca di Neto fino a Manhattan, Stato di New York, tant’è che scattarono anche perquisizioni negli Usa in un’inchiesta collegata a quella che sul finire del 2022 portò a una maxi retata. Il pm ha chiesto l’assoluzione per Martino Comito (60), di Rocca di Neto; condanne a 20 anni per Michele Antonio Comito (33), di Rocca di Neto; 20 anni di reclusione per Michele Antonio Comito (61), di Rocca di Neto; 20 anni per Salvatore Comito (37), di Rocca di Neto; 10 anni per Luigi Corigliano (29), di Rocca di Neto; 2 anni e 2 mesi per Alessandro Curto (33), di Petilia Policastro; 6 anni e mezzo per Antonio Donato (43), di Crotone; 8 anni per Luca Frustillo (39), di Cirò; 4 anni per Mario Vito Funaro (34), di Crotone; 10 anni per Gabriele Stefanizzi (31), di Rocca di Neto.

Dalla prossima udienza spazio alla difesa, rappresentata dagli avvocati Arturo Bova, Nuccio Barbuto, Renzo Cavarretta, Mario Nigro, Gianni Russano, Fabrizio Salviati. Associazione mafiosa, narcotraffico, estorsioni e reati in materia di armi le accuse contestate a vario titolo.

In particolare, stando al capo d’imputazione relativo all’associazione mafiosa, Pietro Corigliano, che ha scelto il rito ordinario ed è stato già rinviato a giudizio insieme a una ventina di imputati, è indicato al vertice della ‘ndrina, in quanto «costituiva, dirigeva e organizzava la compagine, dettando le linee operative per il suo funzionamento, curava i rapporti con i vertici degli omologhi organismi di altri territori, impartiva le direttive ai propri sottoposti, dirimeva le controversie eventualmente insorte, indicava gli obiettivi delle estorsioni, dettava i criteri per ripartire i proventi delle estorsioni, incaricava l’approvvigionamento e la custodia delle armi».

L’inchiesta avrebbe accertato l’operatività della cosca di ‘ndrangheta non solo a Manhattan ma soprattutto nella Valle del Neto. Tra le vittime i titolari della clinica Romolo Hospital che sarebbero stati costretti a versare un pizzo mensile di duemila euro. Le mazzette nelle intercettazioni erano mascherate sotto forma di cornetti da consegnare in quanto un gruppo di dipendenti della clinica avrebbe avvisato gli esattori del clan quando appunto cornetti e caffè erano “disponibili”. Il monitoraggio degli indagati, oggi imputati, avrebbe consentito di fare luce anche sulla disponibilità di armi da fuoco e di documentare il loro effettivo utilizzo, durante una prova compiuta dagli indagati in una zona isolata del territorio di Rocca di Neto. Non a caso nel corso di mirati servizi furono sequestrati quattro fucili e una pistola. Per rafforzare la loro supremazia gli indagati avrebbero preso di mira anche un distributore automatico di snack e bevande della ditta Saibabar.

Luce anche su un traffico di stupefacenti, principalmente di cocaina e marijuana: gli imputati avevano vari fornitori in provincia e poi smerciavano la droga a Rocca di Neto, affare che era appannaggio della famiglia Comito. Le attività di videoripresa hanno permesso di disvelare luoghi, abilmente mimetizzati nell’ambiente locale e identificabili soltanto attraverso la disposizione di specifici segnali disposti nelle immediate vicinanze, presso cui gli imputati occultavano quantitativi di narcotico, anche ingenti, in base alle esigenze quotidiane di rifornimento del mercato locale. Il sequestro più consistente di marijuana nel corso delle indagini è stato di oltre un chilo.

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