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La busta con proiettili sull’auto dell’ex sindaco di Roccabernarda Bilotta

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ROCCABERNARDA (CROTONE) – Sono nove le persone nei cui confronti il pm antimafia Pasquale Mandolfino ha chiesto il rinvio a giudizio nell’ambito dell’inchiesta che avrebbe fatto luce sul monopolio dei lavori elettrici del Comune di Roccabernarda che in meno di un decennio avrebbe affidato un centinaio di appalti all’impresa di riferimento della cosca di ‘ndrangheta dei Bagnato.

L’udienza preliminare dinanzi al gup distrettuale di Catanzaro Mario Santoemma è fissata per il prossimo 3 luglio. Sotto accusa il boss Santo Antonio Bagnato, di 57 anni, il fratello Gianfranco Bagnato (41), i funzionari comunali Giovanni Iaquinta (65) e Luigi Piro (44), l’imprenditore Antonio Lonetto (44), l’ex sindaco Vincenzo Pugliese (54), Salvatore Aprigliano (31), i collaboratori di giustizia Domenico Iaquinta (42) e Tommaso Rosa (60). Ben 32 le persone offese e tra queste la Dda ha indicato il Comune di Roccabernarda, il ministero dell’Interno e l’ex sindaco Nicola Bilotta. Tutti gli appalti dell’illuminazione pubblica erano gestiti dalla cosca di ‘ndrangheta, infatti, e quando l’ex sindaco di Roccabernarda Bilotta avrebbe tentato di cambiare rotta, il boss Santo Bagnato «lo voleva vedere morto».

Per sbaragliare la concorrenza, il clan non avrebbe esitato a compiere danneggiamenti e intimidazioni, anche nei confronti dell’ex sindaco che aveva stravolto l’andazzo che caratterizzava, a quanto pare, la precedente gestione amministrativa; ma le minacce erano pure al figlio, al quale sarebbe capitato un “incidente” se l’ex primo cittadino avesse insistito. Lo hanno scoperto i carabinieri del Comando provinciale di Crotone che nel novembre scorso eseguirono un’ordinanza di custodia cautelare in carcere per i due Bagnato e Lonetto, al quale furono sequestrati conti correnti intestati alla sua azienda e denaro trovato nella sua disponibilità per oltre 157 mila euro. Le accuse sono, a vario titolo, di danneggiamento e turbativa d’asta con l’aggravante mafiosa. Soltanto dal 2009 al 2017, il periodo focalizzato dall’inchiesta, la ditta di Lonetto si sarebbe aggiudicata 101 appalti, per un valore di oltre 170mila euro, e chi non ci stava subiva danneggiamenti, perché l’impresa riconducibile al clan impediva ai concorrenti potenziali di acquisire anche commesse private.

Decisive le dichiarazioni dei pentiti Domenico Iaquinta e Tommaso Rosa, che hanno fornito lumi agli inquirenti sulla cappa di ‘ndrangheta che gravava sull’amministrazione comunale di Roccabernarda ai tempi in cui sindaco era Vincenzo Pugliese, la cui “soggezione” – il termine era stato utilizzato dal gip – si sarebbe manifestata nel favorire l’affidamento diretto dei lavori di illuminazione pubblica per anni alla ditta Lonetto. In questo contesto sarebbero maturate almeno due azioni intimidatorie ai danni di ditte del luogo. Perfino chi faceva lavoretti nelle case ebbe come avvertimento delle cartucce posizionate in garage, accompagnate da una telefonata minatoria. «A Roccabernarda dobbiamo lavorate tutti altrimenti le cartucce che hai trovato le sparo prima e te e poi a tuo figlio».

«Ma vostro marito non lo vuole capire che lo facciamo fuori», invece, la minaccia ricevuta telefonicamente dalla moglie di un altro imprenditore. L’ex sindaco di Roccabernarda Bilotta tentò di cambiare musica, in prossimità della scadenza del servizio di manutenzione dell’illuminazione pubblica, e chiese delucidazioni alla Prefettura di Crotone sulla ditta di Lonetto i cui parenti (fratello, zio e cugini) erano stati arrestati nell’operazione anti ‘ndrangheta Trigarium, condotta dai carabinieri contro il clan Bagnato. La Prefettura precisava che non poteva fornire informazioni ma il sindaco, in via urgente e temporanea, affidò il servizio alla ditta Iembo di Cutro. Da allora inizia lo stillicidio per Bilotta. Il primo avvertimento avviene tra il primo e il 2 marzo 2019, quando, presso la sua residenza estiva a Steccato di Cutro, l’ex sindaco trova una bottiglia di plastica contenente benzina con accanto un accendino. Il 21 aprile, a Roccabernarda, nella centralissima piazza Barbaro, Bilotta rinviene sul cofano della sua auto un involucro di carta con due cartucce a pallini. Il 29 luglio arriva una strana telefonata alla moglie di Bilotta, alla quale viene chiesto di informare il sindaco che al figlio «tra poco capiterà un brutto incidente».

La ditta Iembo, intanto, finisce nel mirino e denuncia il danneggiamento di un’auto aziendale. Addirittura, Lonetto avrebbe chiamato gli amministratori dopo l’intimidazione al sindaco per manifestare che era il preludio di quanto già annunciato da lui dopo la sua estromissione. La situazione stava divenendo esplosiva perché, come emerso da conversazioni intercettate nel corso dell’inchiesta, l’ex sindaco Bilotta, a colloquio con l’ex vicesindaco Luigi Foresta, attuale sindaco, ed altri ex amministratori, raccontava di essere preoccupato perché Lonetto aveva fatto irruzione in un cantiere dove erano in corso lavori della ditta Iembo, pretendendo la chiusura della strada tanto che i lavoratori erano intimoriti e non volevano più eseguire gli interventi. In questo procedimento il pentito Rosa è imputato per il suo ruolo da mancato “palo” per l’omicidio del boss rivale Rocco Castiglione e il tentato omicidio del fratello Raffaele. Nonostante lo squillo che non fece per avvisare i killer poiché la vittima predestinata non era da sola, la Dda ritiene che sia configurabile il suo concorso materiale nell’agguato compiuto nel maggio 2014.

Il pentito Iaquinta, invece, risponde di una serie di furti di animali: ricompare l’abigeato, anche se la cosca Bagnato non era soltanto ‘ndrangheta rurale. Aprigliano avrebbe appiccato il fuoco, su ordine del boss Bagnato, all’auto di una persona “colpevole” di frequentare la cosca Bagnato, refrattaria ad accettare il dominio del clan. Gli imputati sono difesi dagli avvocati Simona Celebre, Manfredo Fiormonti, Antonio Ierardi, Antonio Ludovico, Mario Nigro, Sergio Rotundo, Tiziano Saporito, Gregorio Viscomi.

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