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Il luogo della tragedia

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CROTONE – La strage sul lavoro consumatasi il 5 aprile 2018 a Crotone, e costata tre morti, tre operai travolti dal crollo di un muro non armato del cantiere mentre erano impegnati nei lavori di ampliamento del lungomare di viale Magna Grecia, poteva essere evitata. Lo si evince dalle motivazioni della sentenza, appena depositate, con cui, nel novembre scorso, il giudice Assunta Palumbo ha condannato a 4 anni di reclusione ciascuno Sergio Dinale, architetto di origini vicentine, fondatore e legale rappresentante dello studio veneziano “D:RH architetti e associati”, firmatario del Psc (Piano di sicurezza e coordinamento), progettista dell’opera nonché direttore dei lavori e coordinatore della sicurezza in fase di progettazione (Csp) e in esecuzione (Cse); Gennaro Cosentino, rappresentante legale dell’impresa Crotonscavi Costruzioni generali S.p.a., incaricata dal Comune di eseguire i lavori, appaltatore delle opere, redattore del Pos (Piano operativo di sicurezza), datore di lavoro di fatto e di diritto e direttore tecnico della ditta; e a 3 anni Giuseppe Spina, capocantiere della ditta. Erano stati, invece, assolti, perché la prova nei loro confronti non è stata raggiunta, Massimo Villirillo, dirigente e procuratore della società, e Giuseppe Germinara, ex dirigente del settore Lavori pubblici del Comune e responsabile del procedimento in fase esecutiva.

I tre morti sul lavoro erano Giuseppe Greco, 51 anni, di Isola Capo Rizzuto, e l’appena 35enne di origini rumene Dragos Petru Chiriac, di Crotone, mentre Mario De Meco, 56 anni, pure lui di Isola, spirò 35 giorni dopo in seguito alle gravissime lesioni riportate. La tragedia sul lavoro, anche per le sue dimensioni, scosse l’Italia intera. Il pm Andrea Corvino aveva chiesto 5 condanne per le omissioni che, secondo l’accusa, sarebbero all’origine del dramma. In particolare, Dinale, l’imputato chiave, secondo il giudice che ha analizzato la corposa istruttoria dibattimentale, «nella redazione del Psc avrebbe dovuto effettuare l’analisi dei rischi con riferimento all’organizzazione del cantiere e alle lavorazioni interferenti oltre che ai rischi aggiuntivi a quelli specifici delle lavorazioni». E ancora, «avrebbe dovuto prevedere l’eventuale presenza di fattori esterni che avrebbero potuto comportare rischi per il cantiere l’area circostante».

Tuttavia, il Psc non prevedeva alcuna valutazione di rischio se non «in maniera sommaria e decontestualizzata». E i periti hanno evidenziato «l’omessa analisi nel Psc del muro crollato quale elemento del cantiere nonché l’emessa analisi dell’interferenza del basamento», una volta accertato che il muro era in calcestruzzo non armato e quindi «privo di fondamento». Insomma, mancavano «idonee misure di prevenzione e protezione». Cosentino, invece, in quanto datore di lavoro, aveva «l’obbligo di vigilare affinché i lavori di demolizione fossero realizzati in modo da non pregiudicare la stabilità di strutture portanti e adiacenti». Le omissioni si sarebbero riverberate nella mancata predisposizione di un piano di demolizione.

Il capocantiere Spina, «in osservanza al generale obbligo di astenersi dall’effettuare operazioni non previste e che potrebbero compromettere la propria o altrui incolumità non avrebbero dovuto procedere a effettuare le richiamate lavorazioni di rimozione del basamento e asportazione del terreno». In ultima analisi, il crollo del muro a causa di trivellazioni, scavi e demolizioni che si stavano effettuando a 2,5 metri di distanza dal luogo della tragedia non poteva considerarsi un evento imprevedibile. Gli imputati erano assistiti dagli avvocati Giuseppe Barbuto, Mario Germinara, Enzo Ioppoli, Tiziano Saporito, Francesco Verri.

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