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«DALLE pagine del Quotidiano vorrei ringraziare davvero tutti, per le centinaia (e giuro che non esagero) di sms che mi sono arrivati, per  l’affetto e la stima dimostratimi nelle ultime ore da tanti e tanti calabresi». E’ un uomo felice, Carmine Abate, fresco (stra)vincitore del 50esimo premio Campiello. Felice di una felicità orgogliosa, per la fatica premiata, una felicità soddisfatta, per il valore riconosciuto. La senti vibrare nel tono della voce, pacato ma fremente di altre note. Altri rimandi. Gli anni da emigrante. Carfizzi. La Germania. Trento e di nuovo la Calabria. I reading con l’amico di sempre, Cataldo Perri, le presentazioni e le copie vendute. Fino alla sublimazione, sabato sera a Venezia. Quando stacca tutti e con quaranta punti di vantaggio si porta a casa, con “La collina del vento”, uno tra i premi letterari, secondo solo allo Strega, più ambiti d’Italia.  La senti da quel suo ripetere, più e più e volte, della soddisfazione, quasi stupita, per l’eco che la sua vittoria sta avendo. «Sono felice del fatto che tanti lettori in tutta Italia si siano identificati negli Arcuri, facendoli assurgere a simbolo della voglia di riscatto, forte in Calabria, ma non solo». 

La senti, la  felicità, nel suo iniziale tentennamento, «è tutto il giorno che rispondo al telefono e rilascio interviste» e nel suo dolce lasciarsi andare man mano che parla. Vuole che tu, come tutti gli altri, capisca a fondo, che tu la convida. La sua felicità.  «Non mi aspettavo un distacco così. Forse uno dei più grandi di questi ultimi anni (98 voti su 273 ndr) Con me ha vinto la famiglia Arcuri, una famiglia rara e non solo nel Sud, di oggi. Vorrei che ce ne fossero tante di famiglie così. Gli Arcuri non si sono arresi di fronte al fascismo, alle intimidazioni mafiose o a quelli che costruiscono pale eoliche. Una famiglia che non ha mollato. Mai. E ha fatto di tutto per difendere la propria terra dai soprusi, dagli sfruttatori di ogni tipo».  

«Questo libro, ambientato in Calabria, dà della nostra regione una visione nuova. Credo che sia piaciuto anche per questo. Per la speranza che cova. Per aver dato di questa nostra terra complessa, con tante note negative e teneri virgulti di cose buone, uno sguardo nuovo. Fuori dai classici schemi». Che sono ’ndrangheta, morte e malaffare. Come sappiamo fin troppo bene. 

 La memoria, il rapporto con le proprie radici, la difesa del territorio sono al centro del romanzo ambientato sulle pendici del Rossarco, enigmatica altura a pochi chilometri dal mar Ionio, quella «collina del vento», luogo sacro delle origini della famiglia Arcuri che dagli inizi del Novecento a oggi non si piega davanti a nulla. «Quando scrivo non so mai come va a finire la storia. Credo che i lettori si siano emozionati e sorpresi con me. E poi, la parte finale è piena di colpi di scena. Dal nord al sud Italia i lettori hanno apprezzato questa storia. La difesa della propria terra è un tema che diventerà sempre più importante. Non possiamo consegnare luoghi moribondi ai mostri figli». 

L’emigrante di Carfizzi,   comunità  arbereshe nel Crotonese, che ha sbaragliato sabato sera  la concorrenza,  da giovane è stato costretto ad emigrare ad Amburgo e ora vive in Trentino.  Ha iniziato a scrivere giovanissimo, a sedici anni. Ha esordito raccontando storie “germanesi”. Germanese è il termine spregiativo con cui vengono indicati gli emigranti di ritorno. É una (cattiva) presa in giro per la loro parlata, un misto tra dialetto calabrese e tedesco. «Volevo denunciare la costrizione a lasciare la propria terra per andare a vivere altrove. In tutti i miei libri, anche futuri, c’è l’urgenza della scrittura che è fondamentale».

Come narratore Abate ha esordito  in Germania, è autore di racconti, saggi e romanzi fra cui “Tra due mari”  e “Gli anni veloci”, oggi tutti negli Oscar Mondadori e tradotti in diverse lingue, tra cui l’arabo.   «Con la Calabria – dice Abate in un’intervista all’Ansa – ho un rapporto passionale. Quando penso alla mia condizione capisco che sono una persona fortunata. Sono stato costretto a partire ma ho trasformato questa ferita in una ricchezza. Oggi mi piace vivere per addizione. Appartengo a una minoranza etnico-linguistica albanese e da piccolo non parlavo italiano. Ho valorizzato le mie radici antiche ma cerco di curare le radici nuove che mi nascono sotto i piedi, in Germania, in Trentino. Questo vuol dire vivere per addizione e non ho più nostalgia del mio paese d’origine perché è sempre dentro di me». 

  Ora vive come in un sogno. Si gode la notorietà, le interviste, le prime dei giornali nazionali. La sua felicità. Con nel cuore la gioia per aver fatto trionfare una Calabria diversa. La terra del riscatto. 

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