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Il complesso meccanismo che occupa le nostre teste a volte sa essere perverso. Quello che è accaduto ieri, poco più a sud di Crotone, è una tragedia di dimensioni incredibili.

Per evitare il rischio di non coglierne la portata vera, solo perché non conoscevamo quelle persone, che per di più erano straniere, di un mondo che abbastanza fisiologicamente – proprio per quel sistema complesso che ci consente di elaborare le notizie che apprendiamo – percepiamo assai lontano da noi, dalle nostre vite quotidiane, allora sarebbe utile un esercizio.

Immaginiamo che quel bimbo di 9 anni – fra le vittime del barcone dei migranti – fosse un nostro parente, o un vicino di casa.

La stessa operazione mentale facciamola per gli altri bimbi annegati, per i loro genitori, per i loro cugini più grandi, tutti morti nelle acque di Steccato di Cutro. Chi ha fede preghi. Chi no non lo faccia. Dopo aver dato volti familiari, per un secondo, a quei corpi coperti da teli candidi che – in ogni occasione – fanno a pugni con la tragedia, ne usciremo tutti sconvolti e disperati.

Ci faremo più domande, ci faranno più effetto (o molto meno effetto) le “reazioni”. Ci domanderemo, forse, come sia possibile che quel barcone, che pare fosse stato “tracciato” la sera prima, non sia stato raggiunto per i soccorsi più al largo; se davvero sia stato il mare grosso a impedirlo.

Domanda che, per inciso, non sfiora i soccorsi locali, i carabinieri che si sono gettati in acqua, gli uomini delle forze di polizia e i volontari che hanno fatto di tutto perché qualcuno fosse salvato.

Ma com’è stato possibile, con i mezzi di cui disponiamo, lasciare che un barcone si spezzasse a qualche centinaio di metri dalla nostra costa?

Sono tutte domande legittime, che vanno ben al di là della grande questione internazionale delle migrazioni incontrollate e, soprattutto, malsicure e fonte solo di business, questione che resta tutta in piedi e che forse occorrerebbe affrontare con lo spesso piglio utilizzato dai Paesi europei quando si sono visti costretti, per la guerra di Putin in Ucraina, ad andare a cercare gas e petrolio in giro per il mondo.

Quelle decine di morti erano tutti nostri fratelli, nostri familiari. E non è una considerazione cristiana.

È, piuttosto, una operazione mentale necessaria che serve a proteggere quel che di umano ci resta. Ne abbiamo bisogno.

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