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COSENZA – Un dato amaro. Un dato che allarma e preoccupa, ma che (vedremo) può essere superato. La Calabria è l’ultima regione nell’Unione Europea nella classifica sull’occupazione dei laureati entro i tre anni dal conseguimento del titolo.

In altre parole – in base a quanto segnalato da Eurostat che, tale analisi, l’ha pubblicata in un libro dedicato alle regioni e alle relative problematiche -, solo il 37,2 per cento (tra l’altro in calo rispetto al 2020 che poi è l’anno preso in considerazione dall’ufficio statistico dell’Ue) dei neo laureati calabresi trova lavoro a fronte del 59,5 per cento della media italiana e dell’81,5 per cento medio dell’Unione.

Per commentare la sconcertante graduatoria che vede, appunto, la Punta dello Stivale in vetta (seguono la Sicilia, che occupa la seconda posizione con il 38,3 per cento, e una regione della Grecia), abbiamo interpellato il sociologo del lavoro Vincenzo Fortunato.

Fortunato coordina il corso di laurea triennale in Scienze dell’amministrazione, nonché quello magistrale in Scienze delle Pubbliche amministrazioni, al Dispes dell’Università della Calabria. A questo giornale spiega che «i dati in parola, quelli di Eurostat, dovrebbero essere suddivisi in generali e quantitativi».

Un modo come un altro, insomma, per sottolineare che non si può fare di tutta l’erba un fascio: la situazione può cambiare da ateneo ad ateneo, ma pure da dipartimento a dipartimento o, addirittura, da corso a corso. «Mi preme affermare – dice il professore Fortunato – che mi trovo a concordare con quanto emerge dalla classifica europea nel caso delle lauree triennali: si fa molta fatica, visto il mercato del lavoro di oggi, a trovare un’occupazione se non si è altamente specializzati; se, dunque, alla triennale non viene affiancato un ulteriore percorso di formazione e di specializzazione. Ma, per quanto riguarda le magistrali – aggiunge Fortunato -, la questione è assai più complessa. Lo dicevo, del resto, poc’anzi: sarebbe necessario esaminare le situazioni concrete».

Il sociologo del lavoro Vincenzo Fortunato

Cambiando prospettiva, sulle azioni, sugli interventi e sulle attività da porre in essere per contrastare il quadro delineato dall’Eurostat, Vincenzo Fortunato ha poi le idee chiarissime. «Cambiare rotta è assolutamente possibile. Smentire, nel senso di andare in una direzione contraria rispetto a essi, i dati europei non è utopico – dichiara il docente -. D’altronde, l’Università della Calabria questo lavoro già lo sta realizzando. C’è una grande sensibilità, in quanto a occupazione e prospettive future per i nostri studenti, da parte del Rettore (Nicola Leone, ndr), ma pure all’interno dei singoli Dipartimenti d’ateneo.  Esistono, in altri termini, delle soluzioni». E, quindi, eccole.

Le azioni concrete – «Anzitutto – chiosa il sociologo Fortunato -, per contrastare il fenomeno trattato e quindi questa impossibilità di trovare occupazione entro i tre anni dal conseguimento della laurea, c’è una cosa fondamentale da fare. Si tratta – puntualizza – della necessità di stringere rapporti con il territorio e, in particolare, col mondo delle imprese, con le amministrazioni pubbliche, con gli enti e via discorrendo. In tal modo – aggiunge -, sono proprio le imprese, le amministrazioni pubbliche, gli enti e via discorrendo a poter suggerire a noi, Università, quelle competenze e quelle professionalità di cui c’è bisogno. Ecco che, come dicevo, in questo senso l’Unical già si sta attivando. Basti pensare – dice sempre Fortunato – al rapporto di collaborazione e sinergico che si vuole intraprendere con Confindustria Cosenza: fondamentale creare un circuito in cui il mondo del lavoro indichi ciò che manca e l’accademia, al contempo, ponga in essere quegli specifici insegnamenti per formare, a quella posizione che si cerca, lo studente e poi il laureato».

Le “soluzioni”, comunque, non finiscono qui. Vincenzo Fortunato ne enumera di ulteriori. «Tra queste sì, oltre alla sinergia da stringere col territorio e con chi vi opera capillarmente, c’è davvero bisogno dei cosiddetti tirocini curriculari, sempre garantiti dagli enti di cui sopra. E poi, necessario sarebbe potenziare gli stage extracurriculari (questi ultimi, a dire il vero, sono stati un po’ penalizzati, anzi rallentati, dalle finanziarie degli ultimi Governi)».

Le idee, insomma, non mancano. E non manca nemmeno quella più importante, quella che le soluzioni già esposte le tiene insieme tutte. «Oltre a quanto delineato – afferma ancora Fortunato -, occorre principalmente evitare, parlo appunto di Università, di essere autoreferenziali: bisogna lavorare su quella che viene definita terza mission; bisogna, così, lavorare insieme sui percorsi da compiere. Bisogna – conclude il professore – avvicinarsi al tessuto locale, quello in cui ci troviamo. Possono esserci delle difficoltà ed è per questo che un altro passo in avanti da fare è il seguente: scardinare certe credenze. Il cambiamento, del resto, è sempre culturale».

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