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NON c’è molto da dire sugli uomini da quattro soldi che hanno mandato minacce di morte al collega Francesco Mobilio della redazione di Vibo (e ad altre due persone, come riferiamo nel servizio di cronaca LEGGI), inserendo nel plico un proiettile di pistola. Sprecarsi in aggettivi sarebbe, appunto, uno spreco di tempo; giacché se cercare un aggettivo giusto per qualificare, in bene o in male, una data persona può essere esercizio affascinante, fare altrettanto per degli anonimi… Sì, insomma, non ne vale la pena. Gentucola, e basta.

Se sugli anonimi poco si può aggiungere, c’è però qualcosa che si può dire agli anonimi: lasciate perdere, non serve. Cercare di intimidire un giornalista è quasi sempre una missione inutile, destinata a fallire, visto che ogni giornalista cerca di fare esattamente ciò che un altro al suo posto farebbe. Questa professione, questo mestiere, e chiamatelo come vi pare, è vero che è fatto anche di individualismo, legato qualche volta alla “firma”, ma, cari anonimi, dovreste sapere che se c’è una notizia, questa comunque sarà pubblicata. E se non lo facesse tizio, lo farebbe caio, o altrimenti sempronio. E tizio, caio e sempronio sono scritti con la lettera iniziale minuscola proprio perché, a prescindere dal nome, c’è e ci sarà sempre un giornalista pronto a scrivere quella notizia.

Al Quotidiano funziona così, solo per rimanere “in casa”, ma anche negli altri giornali, nelle televisioni, funziona così. E se così non fosse, in qualche caso, il patologico sarebbe lì, e non nella regola che vuole che le minacce servano a poco, lasciando persino da parte le considerazioni di ogni altro ordine sulle minacce in sé. In poche parole (giusto per esemplificare qualora gli anonimi abbiano anche difficoltà a comprendere): le minacce prima ancora che brutte, disgustose, condannabili… sono inutili. C’è, poi, un’altra considerazione: potrebbe darsi che lo scopo di chi fa queste minacce è quello di condizionare il giornalista (mettendogli paura) su questioni ben diverse da quelle che apparentemente si vuol far credere. È davvero poco probabile che se il giornalista Tizio si occupa di un palazzo da demolire, qualcuno che non vuole quella demolizione lo minacci proprio su quella questione. Ma questo è un altro discorso, che sicuramente gli investigatori stanno considerando.

Non è la prima volta che a Vibo, come in altre province calabresi (un nostro collega, Michele Albanese, solo per citare il caso più clamoroso, vive sotto scorta da più di un anno, eppure continua a fare il suo lavoro), colleghi del Quotidiano ricevano minacce. Così come anche giornalisti di altre testate. Sarebbe bello se gli inquirenti (magistrati, poliziotti, carabinieri) facessero in fretta a scoprire gli autori di queste minacce. È chiaro che ci sono tante cose da fare, ma se riuscissero, per una volta, a fare luce su chi ha mandato questi pacchettini natalizi, ci farebbero sentire meno soli. È un fatto di civiltà, oltre che di giustizia dovuta. 

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