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COSENZA – La parola più abusata durante gli interventi di ieri in consiglio regionale sul “caso” Callipo è stata «ipocrisia». L’ha richiamata Giuseppe Aieta chiamandosi fuori «dalla giostra dell’ipocrisia»; lo ha detto Carlo Guccione parla invece di »sagra».

In realtà quella che a parole tutti volevano scacciare era ben presente in aula perchè la discussione su Callipo, complice anche l’assenza in aula dell’imprenditore, è stata per molti una scusa per parlar d’altro. E visto che la vicenda attiene tutta al campo del centrosinistra, l’altro non può che essere il futuro della compagine. Guccione stesso prima e Bevacqua poi hanno ammesso il fallimento di un processo politico di rinnovamento che il re del tonno avrebbe dovuto incarnare.

Così se Aieta nel suo intervento ha ricordato l’intramontabile brocardo di Rino Formica secondo cui la politica e sangue e l’altra parola che non è caso il ripetere nè in aula nè su un giornale, Guccione ha invece citato Gramsci nel dire che «il vecchio mondo è morto mentre il nuovo stenta a nascere». Il riferimento, nemmeno troppo velato, è ai pezzi del partito che si richiamano a Mario Oliverio per molti regista occulto dei tre si alle dimissioni di Callipo. Guccione non cita l’ex Governatore ma ribadisce che, a suo avviso, «è puerile che qualcuno cerchi di utilizzare questa vicenda come rivincita interna, perchè è finita un’epoca». Tradotto nel Pd il passato e i suoi protagonisti non torneranno.

Il problema è il futuro perchè al netto di cosa dirà oggi Oliverio nella sua conferenza, nessuno vorrebbe essere nei panni di Mimmo Bevacqua, capogruppo di un partito dilaniato, senza una guida e una direttrice politica. Il commissario regionale Stefano Graziano non si vede da un po’ visto che si è candidato alle regionali in Campania. Ci aveva provato a dare una linea che era quella del no alle dimissioni, ma il voto contrario di tre consiglieri su dieci è segno chiarissimo.

Ecco allora che con sempre maggiore forza nel partito si leva la richiesta di un congresso non più rinviabile. Lo aveva detto apertamente il consigliere regionale Tassone (che guarda caso è fra i tre che hanno votato sì) e tanti altri si stanno muovendo fuori dalle istituzioni.

Il problema, ancora una volta, non è solo individuare un segretario, ma individuare una linea politica dopo l’azzeramento, di fatto, del progetto Callipo.

A questo proposito ieri Guccione ha lanciato un primo seme parlando apertamente di «preoccupazione per la tenuta democratica della Calabria». Il consigliere ha messo in fila un po’ di considerazioni.

La prima è lo scioglimento per mafia di due importanti Asp calabresi. La seconda è la crisi che può scoppiare appena verrà meno il divieto ai licenziamenti collettivi in autunno («Un disagio sul quale – ha detto – forze oscure sono pronte a soffiare»). Il terzo è la tenuta delle istituzioni. Guccione dice che il consiglio regionale nemmeno si è insediato che ha visto cambiare la sua composizione per iniziative giudiziarie della Dda. Ma ha detto anche di riferisi non solo alle istituzioni elette dal popolo, ma anche ad altre articolazioni dello Stato. In particolare al “caso Palamara”.

«Non so – ha detto – che riflessi avrà in Calabria, ma lasciatemi esprimere preoccupazione, non ho paura a farlo». Tutto questo dovrebbe spingere le forze politiche ad una sorta di consociativismo questa volta positivo perchè la posta in gioco è alta. In Calabria stanno arrivando fra Mes e Recovery Found circa 200 miliardi. C’è un’occasione storica, quindi, da sfruttare. Come? Un patto di non belligeranza fra Pd e Forza Italia? Un accordo politico vero e proprio? Altre formule? Ecco questo può essere un tema del congresso. Se mai si farà.

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