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COSENZA – La sanità calabrese è uscita dalla pandemia con le ossa rotte, non riesce a recuperare le liste d’attesa e l’emigrazione sanitaria continua a galoppare. Non solo, nel triennio 2019-2022 è stata l’unica regione d’Italia a non raggiungere il minimo indispensabile nella rilevazione dei parametri sui Livelli essenziali di assistenza. E in parte la questione riguarda il presidente-commissario Occhiuto. I dati sono contenuti nel rapporto sul coordinamento della finanza pubblica 2023 della Corte dei Conti, pubblicato giovedì scorso. In primo luogo viene specificato quello che da tempo scriviamo: il miglioramento dei conti calabresi è strettamente “connesso al blocco dell’assistenza fuori regione nel 2020”, nel frattempo però la spesa pro capite è andata progressivamente abbassandosi seppur con variazioni minime. Dai 2.051 del 2019 ai 2.041 euro pro capite del 2022.

La Corte dei conti segnala un calo “anomalo” del 2,2%. Questo a fronte di un aumento della spesa sul personale, che però in Calabria non si è tradotto in più medici, abbastanza per poter far fronte ad una carenza senza precedenti. Nel frattempo l’andamento ha portato “ad una crescita degli oneri del personale di circa il 10 per cento nel triennio nelle regioni”. Fortissimo l’aumento anche sull’utilizzo di beni terzi, principalmente canoni di noleggio per attrezzature sanitarie e non. E intanto gli ospedali sono in affanno in Calabria nessuna azienda è riuscita a recuperare i volumi del 2019 e il livello di spesa è ben al di sotto dei livelli pre crisi.

“Sull’andamento della spesa – scrive la Corte dei conti – hanno inciso le misure di ristoro dei costi fissi sostenuti nei periodi di sospensione, oltre che le remunerazioni legate a prestazioni e tariffe Covid quando assicurate dalle strutture private accreditate”. E questo non è il caso della Calabria che non ha mai speso completamente i fondi Covid né sono stati trasferiti alle strutture private. In mezzo c’è anche il disastro dei costi, sensibilmente aumentati per effetto della crisi globale. Crescita pronunciata su riscaldamento e servizi informativi. La Calabria per esempio viene segnalato un aumento del 48,4%. Malissimo invece gli screening. Nessuna regione in Italia è riuscita a recuperare le liste d’attesa rispetto a quanto programmato, ma in Calabria la situazione è particolarmente grave. “rispettivamente il 73 e il 62 per cento nella media nazionale. Valori che scendono al 34 e al 9 per cento in Calabria e al 21 e 16 per cento in Campania”.

La regione non migliora neanche sulle quote di interventi (colicistectomie laparoscopiche) con degenza inferiore a 3 giorni. Indice di inappropriatezza elevata delle prestazioni. “In termini di tempestività e sicurezza delle cure – scrive la Corte dei Conti – si rileva un arretramento nel numero di interventi per rottura del collo del femore effettuati entro il secondo giorno dal ricovero, termine previsto in conformità alle linee guida internazionali per ottenere un buon esito dell’operazione. Solo tre delle regioni in Piano di rientro (Lazio, Puglia e Sicilia) superano nel 2021 la soglia minima del 60 per cento, nelle restanti regioni tale percentuale scende significativamente, ponendosi al 45,1 in Calabria”.

L’inappropriatezza è anche nel ricorso sistematico al taglio cesareo nei parti primari. La soglia massima è del 25%, in Calabria è al 34,6%. Malissimo anche i dati sul soccorso. I tempi medi di risposta delle ambulanze dalla chiamata all’arrivo sul posto aumentano ancora, arrivando a 30 minuti nel 2021. Nel complesso “tutte le regioni meridionali presentano saldi negativi, da correlare alla scarsa qualità delle erogazioni prestate, con valori particolarmente elevati in Calabria (-26.186 ricoveri)”.

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