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La Questura di Reggio Calabria

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Numerosi fermi sono stati eseguiti nel corso delle prime ore del mattino dalla Polizia su disposizione dei magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria.

REGGIO CALABRIA – Numerosi fermi, in tutto 14 anche se quelli portati a compimento sono stati 11, sono stati eseguiti nel corso delle prime ore del mattino dalla Polizia su disposizione dei magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria nell’ambito dell’operazione “Spazio di libertà”. Si tratta di una operazione contro persone accusate di essere fiancheggiatori dei boss di ‘ndrangheta Giuseppe Crea e Giuseppe Ferraro arrestati il 29 gennaio scorso dopo una latitanza durata, rispettivamente, 10 e 18 anni, (LEGGI LA NOTIZIA SULL’ARRESTO DI CREA E FERRARO) e Antonio Cilona (LEGGI LA NOTIZIA DEL SUO ARRESTO)

Gli indagati sono accusati, a vario titolo, di associazione mafiosa, favoreggiamento personale e procurata inosservanza della pena. Sono sfuggiti alla cattura, Francesco e Mario Crea, figli di Teodoro, boss di Rizziconi e fratelli di Giuseppe e Girolamo ‘Mommo’ Facchineri, uno dei capi dell’omonima cosca di Cittanova, protagonista di una cruenta faida contro gli Albanese-Raso.

Crea e Ferraro, inseriti nell’elenco dei latitanti pericolosi del Ministero dell’Interno, furono individuati, dopo mesi di indagini, dagli investigatori della squadra mobile di Reggio Calabria e del Servizio centrale operativo in un rifugio occultato nella vegetazione in una zona impervia sulle pendici di un’altura a Maropati. Con loro avevano un arsenale di armi ed esplosivo oltre a denaro e documenti di interesse investigativo. Antonio Cilona, ritenuto affiliato ai Santaiti di Seminara e condannato in secondo grado all’ergastolo, era stato arrestato anche lui nel gennaio scorso dalla polizia. Nel prosegue delle indagini, gli investigatori della polizia sono riusciti a ricostruire l’intera filiera dei fiancheggiatori dei due, individuando ruoli e contributi forniti dai singoli. Gli indagati sono ritenuti affiliati alle cosche Crea, Ferraro-Raccosta, Alvaro e Facchineri, egemoni nella zona di Rizziconi, Oppido Mamertina, Sinopoli e Cittanova.

Giuseppe Crea e Giuseppe Ferraro furono sorpresi nel sonno da un blitz della squadra mobile di Reggio Calabria e del Servizio centrale operativo. I due si nascondevano in un bunker in metallo realizzato nella roccia tra Maropati e San Fili e con loro avevano un vero e proprio arsenale d’armi: una decina di fucili di vario genere, un mitra ed un consistente quantitativo di pistole. Ma non solo armi. Nel covo furono trovati anche i resti di una cena a base di ostriche. Giuseppe Ferraro, di 47 anni, e Giuseppe Crea, di 37, sono ritenuti due boss di rilievo delle cosche della piana di Gioia Tauro. Ferraro, latitante dal 1998, è uno degli ultimi componenti dell’omonima famiglia di ‘ndrangheta decimata nella faida di Oppido Mamertina. Deve scontare una condanna all’ergastolo per omicidio e associazione mafiosa. Giuseppe Crea, ritenuto la figura ‘strategica’ dei due latitanti, è figlio di Teodoro, boss di Rizziconi, ed era irreperibile dal 2006 per una condanna per mafia. L’altro latitante che sarebbe stato aiutato dalle persone fermate stamani nell’operazione “Spazio di libertà”, è Antonio Cilona, ritenuto elemento di spicco della cosca Santaiti di Seminara, bloccato sempre nel gennaio scorso in un villaggio turistico a Parghelia (Vibo Valentia). L’uomo era ricercato per espiare una condanna all’ergastolo per l’omicidio di Carmelo Ditto, un pregiudicato ucciso in un agguato a Seminara il 20 settembre 2006. Delitto che, secondo l’accusa, era maturato nell’ambito della faida tra i Gallico ed i Santaiti.

I due latitanti, chiamati con i nomi di “Alberto” e “Ciccio”, usavano delle radio ricetrasmittenti per comunicare con i loro fiancheggiatori, erano, infatti, soliti utilizzare frequenze radio VHF libere in etere ma sono stati ugualmente intercettati dagli investigatori grazie a particolari tecnologie. È stata così ricostruita non solo la gestione del menage dei boss in fuga, ma anche l’organizzazione dei loro appuntamenti con i familiari e terze persone. Tra le molteplici comunicazioni ne sono state individuate alcune che, decriptate dagli investigatori, hanno permesso di stabilire che intercorrevano fra alcuni congiunti di Giuseppe Crea e componenti della famiglia Facchineri di Cittanova. Dalle indagini è emerso anche che a metà dicembre 2014, Crea e Ferraro furono spostati repentinamente in un altro covo gestito da persone diverse rispetto a quelle che avevano gestito la fase precedente della latitanza. Una scelta, secondo gli investigatori, dovuta al ritrovamento di una microspia nell’auto di uno degli indagati e dell’arrivo della Polizia a pochi metri dal covo. La seconda fase delle indagini è stata così dedicata alla ricostruzione dei movimenti dei sodali dei latitanti attraverso le immagini delle telecamere via via installate lungo il percorso stradale che da San Procopio, Sinopoli, Gioia Tauro e Rosarno conduceva a Maropati, dove Crea e Ferraro sono stati poi rintracciati. Fra i fermati di stamani figura anche Francesco Antonio Crea, ritenuto l’esperto della cosca omonima nell’utilizzare sistemi elettronici per disinnescare i dispositivi d’intercettazione ambientale. Era lui, secondo gli investigatori, che usava ogni tipo di accortezza, disturbatori di frequenze, bonifiche delle auto, spegnimento dei telefoni cellulari per non essere localizzato, l’appartarsi in campagna a parlare via radio in modo da non essere visto, per comunicare con gli altri sodali del gruppo

 Il commento del procuratore di Reggio Calabria, De Raho

«Il loro mancato arresto ci ha sorpreso» ha detto il procuratore capo della Dda Federico Cafiero de Raho incontrando i giornalisti insieme al procuratore aggiunto Gaetano Paci, al questore di Reggio Calabria Raffaele Grassi, al capo del primo reparto dello Sco Andrea Grassi, ed al dirigente della squadra mobile reggina Francesco Rattà. «Le indagini – ha detto de Raho – hanno comunque chiuso il cerchio su un potente gruppo criminale che nonostante l’arresto di Giuseppe Crea e Giuseppe Ferraro continuava a vessare il territorio, grazie anche ad una profonda omertà diffusa ed in qualche caso, anche beneficiario di collusioni». La decisione di procedere con i fermi è stata dovuta, hanno detto gli inquirenti, «ad alcuni segnali che lasciavano intuire come alcuni degli indagati stessero preparandosi a lasciare la Calabria. Sicuramente possono contare su una vasta rete di collegamenti e nuclei sul territorio nazionale a cui avrebbero chiesto protezione per sfuggire agli arresti».

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