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CATANZARO – L’imprenditore reggino Tommaso De Angelis, accusato di essere espressione della cosca Alvaro della ‘ndrangheta, è stato condannato a 10 anni e 5 mesi di reclusione per associazione mafiosa e intestazione fittizia di beni.

La sentenza é stata emessa dal gup Stefania Rachele, in accoglimento della richiesta del pubblico ministero Stefano Musolino, a conclusione del processo «Camaleonte», celebratosi col rito abbreviato.

Il processo é scaturito da un’indagine dei carabinieri sull’infiltrazione della ‘ndrangheta in alcuni lavori appaltati dall’Anas a Gallico e sulla realizzazione della stazione ferroviaria di Pentimele da parte di Rfi.

Sono stati condannati, inoltre, a 2 anni e 6 mesi di reclusione, per intestazione fittizia di beni, anche i fratelli di Tommaso De Angelis, Vincenzo e Rocco. Questi ultimi, assieme a Patrizia Scarpelli, sono stati invece assolti dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. Assolto dall’accusa di abuso d’ufficio anche Rocco Lapenta, che aveva il compito di eseguire un collaudo per conto dell’ Anas.

I lavori, per un valore di oltre 2 milioni di euro, per la realizzazione della stazione di Pentimele erano stati appaltati da Rfi ad un’associazione temporanea di imprese, la cui mandataria era la Morfù srl che, a sua volta, aveva affidato alla Decos srl, società riferibile alla famiglia De Angelis, il nolo a freddo di mezzi e macchinari necessari all’attività del cantiere edile.

Secondo la Dda, Tommaso De Angelis avrebbe rappresentato gli interessi della cosca Alvaro nel territorio di Reggio Calabria, “mediando ed intessendo le relazioni con gli esponenti delle altre cosche e gestendo, con modalità e metodi mafiosi, gli interessi delle imprese riconducibili al suo nucleo familiare”.

Il gup Rachele ha disposto anche la confisca della società Decos e ha rigettato la richiesta di risarcimento danni avanzata dall’Anas.

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