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Nicola Gratteri

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LOCRI (REGGIO CALABRIA) – «Volevano simulare un incidente, una disgrazia. Dopo non ho saputo più nulla di questo attentato». E’ quando ha confermato, ieri nell’aula del tribunale di Locri, Antonio Cataldo.

Il collaboratore di giustizia che nella ‘ndrangheta locridea degli anni novanta ha rivestito la carica “capo giovane” ha ribadito di quell’attentato che i clan stavano progettando per uccidere il figlio del magistrato antimafia, Nicola Gratteri.

Di quel progetto il pentito, ha raccontato, di averlo «appreso in carcere da Guido Brusaferri durante l’ora d’aria». Confermando così come «in carcere tra i detenuti c’era il timore che Nicola Gratteri se fosse stato nominato Ministro della Giustizia, avrebbe introdotto leggi più ferree. Tutti – ha detto- in carcere parlavano di questa nomina».

Dell’attuale procuratore capo della Dda di Catanzaro, il pentito dice: «Gratteri conosce bene la ‘ndrangheta. E’ severo ed è temuto». Sentito nell’ambito del processo “Riscatto”, che tra gli altri vede imputati i Cordì e gli Alì, Cataldo collegato in video conferenza da una località segreta, ha ricordato del battesimo di ‘ndrangheta avvenuto «nel 1984» e dalla perdita della carica «quando si è detenuti in carcere la carica decade per il tempo della carcerazione».

Incalzato dal magistrato della Dda, Giovanni Calamita, Cataldo ha ricordato anche quelli che erano i “nemici” «i Cordì. Siamo stati impegnati in una faida contro di loro». Ma nonostante la faida «quando veniva battezzato un Cataldo, i Cordì erano informati» e viceversa.

Una faida poi terminata la pace tra le famiglie: «il discorso della pace – ha sottolineato il pentito- è un discorso relativo, nel senso che ognuno lo accetta ma dentro di sé può ancora covare rancore, io lo avevo per i Cordi». Il suo pentimento è invece avvenuto «perché sono state intercettate delle mie conversazioni, io su quelle ho raccontato».

Era «il 2012-2013 ho deciso di collaborare per un paio di mesi. Poi – ha precisato- non ho più reso dichiarazioni, perché avevo deciso di farmi i fatti miei e non collaborare più». Su questa decisione ha inciso anche «mia moglie – ha riferito- era venuta a sapere delle cose e aveva minacciato di abbandonarmi. Poi lo fece nel 2017 quando ero in carcere». Uscito dal carcere Cataldo è tornato a Locri ma «Mi cercavano in parecchi, familiari e cosche avverse come i Cordì e i Floccari per alcune intercettazioni che sono state utilizzate nel processo “Mandamento”».

Intanto per maggiore trasparenza il presidente del collegio Fulvio Accurso ha disposto la trasmissione degli atti al presidente della corte di Reggio Calabria sollecitando una decisione tempestiva. Il giudice, infatti, all’esito della ricognizione fotografica mostrata a Cataldo, si è accorto di conoscere due imputati. Il presidente ha precisato che non conoscendo i nomi ha riconosciuto i volti attraverso le foto «mai avuto rapporti di frequentazione». Uno era il cameriere nel ristorante dove il presidente anni fa si recava a pranzo mentre l’altra è la dipendente dell’azienda che si occupa del servizio di pulizie al tribunale di Locri.

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