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«Locale confiscato alla mafia. Prossima apertura», «La mafia è una montagna di merda», «Colpire le menti». Quindi un bel timbro: «Confiscated». La Capitale si è illuminata di una luce di denuncia: sulle pareti di dieci edifici, tolti dallo Stato agli illeciti bottini delle ‘ndrine e delle mafie di tutta Italia, il buio si è squarciato. Per far vedere, e sapere, quanti beni sottratti alla malavita organizzata giacciono abbandonati, chiusi, sbarrati, o peggio occupati da chi non ha diritto. Dirlo con un fascio di luce, e magari anche con l’arte, non è un dettaglio irrilevante. Perchè l‘arte arriva a tutti, indistintamente, con un messaggio diretto e senza intermediazioni. Così lunedì sera la Capitale, dal quartiere Prati fino al Pigneto, capirà con un veloce colpo d’occhio, quante strutture rimangono incredibilmente inutilizzate, dopo essere state giustamente tolte alla “mano nera”. Si comincia alle 16 nella sala 301 dell’Università la Sapienza. 

Nei locali delle ex Vetrerie Sciarra, per il corso di Progettazione Scenica, sarà presentato il progetto di videoinstallazione dei beni confiscati alle mafie nella città di Roma. Saranno presenti Luca Ruzza, direttore del corso e Claudio La Camera, responsabile dell’Osservatorio sulla ’ndrangheta di Reggio Calabria. Con loro la voce di chi è in prima linea nella lotta alle mafie, dalle toghe alla stampa, dal sociale al mondo del sapere. Alle 18, poi, la “parola” passa alle installazioni, con le proiezioni luminose su dieci edifici confiscati della Capitale. La “mano nera” nel Lazio è presente con 25 cosche di ‘ndrangheta, 17 di camorra, 14 di Cosa Nostra, 2 della Sacra Corona Unita, e altri 3 clan criminali di cui uno siciliano. Una mappa inquietante almeno quanto quella dei beni confiscati e ancora non utilizzati. «Un progetto di memoria del presente per “non dimenticare” – annunciano gli organizzatori – un’ipostasi contro il “non sapere che esiste” comune e condiviso nella città di Roma”. Le installazioni andranno avanti fino alle 22, per dire con un messaggio breve ma dirompente, che adesso è il momento di fare un passo in avanti. Confiscare, certo, ma anche affidare. Dentro quei luoghi-simbolo di malaffare, sangue e droga, prevaricazione e non-cultura, serve ora farci abitare il buon affare, la vita, il sociale e la cultura. Alla prima tappa romana del progetto seguiranno quelle di Palermo e Reggio Calabria. Da due anni il corso di Progettazione Scenica tenuto da Luca Ruzza (docente del Dipartimento Storia dell’Arte e Spettacolo – Università degli Studi di Roma La Sapienza) sceglie di confrontarsi col tema delle mafie. I riflettori degli studi si sono accesi in particolare sulle realtà di Rosarno e Cinisi, il paese di Peppino Impastato nel 2012, e il tema dei beni confiscati a Roma nel 2013. Nel corso di questi anni sono stati sviluppati più di un centinaio di progetti di riutilizzo dei beni confiscati in diverse parti d’Italia. Non mancano dunque le idee su come riutilizzare il “bentolto”. A partire, tra l’altro, da uno studio meticoloso dell’attuale situazione. Il progetto di indagine ed elaborazione è stato sviluppato grazie a un protocollo di intesa con l’Osservatorio sulla ‘ndrangheta di Reggio Calabria diretto da Claudio La Camera, che ha coadiuvato il processo di lavoro e ha organizzato alcuni interventi di approfondimento con esperti, studiosi e magistrati. La ricerca ha squarciato il velo su dati impressionanti. Libera, Equorete, Action per i diritti, Cnca del Lazio, daSud Onlus e Gioventù Attiva hanno deciso insieme di realizzare un’attività di ricerca e monitoraggio sui beni confiscati e consegnati nel Comune di Roma e in alcuni comuni della provincia. 
Si tratta di quelli che dovrebbero avere un effettivo riutilizzo, sociale o istituzionale, come previsto dalla legge 109/96. E qui la sorpresa. Perchè «accanto ad encomiabili attività di gestione sociale di questi beni – si legge nello studio – anche queste, in buona parte, poco conosciute e valorizzate, sono emerse situazioni di abbandono di immobili consegnati dal Demanio alle amministrazioni locali (Comune di Roma e Regione Lazio) e tutt’ora vuoti; negozi e terreni che risultano occupati da attività commerciali o da depositi privati; situazioni perlomeno dubbie di appartamenti e ville formalmente destinati ad emergenza abitativa, sconosciute persino ai servizi sociali dei Municipi interessati. Anomalie e disfunzioni, per usare un eufemismo, su cui è necessaria e urgente un’immediata attività di verifica da parte delle istituzioni interessate, a cui saranno trasferite le schede con le informazioni raccolte per ciascun bene». Un dato per tutti: «L’attività di monitoraggio, svolta in base all’elenco di beni confiscati fino al 31 dicembre del 2009, ha riguardato in particolare, 117 beni immobili distribuiti nel Comune di Roma su 135. Complessivamente, sono stati individuati 39 beni, tra vuoti (10) e occupati (29), che non soddisfano i principi sanciti dalla legge 109/96: si tratta del 33,3% dei beni monitorati». Ed ancora: Roma, con 383 beni, è la settima provincia in Italia per beni confiscati alle mafie, tra immobili e aziende. E il Lazio con 482 immobili e aziende sottratte alle mafie, è la sesta. Eppure, tranne qualche caso isolato, di questo patrimonio si sa poco o nulla. Tanto è stato fatto, grazie all’Agenzia nazionale per i beni confiscati, ma la strada è lunga. Domani le proposte per imboccare quella giusta.
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