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Gianni Versace

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Livorno, 16 novembre 2021. Dopo un controllo doganale viene scoperta una frode: su alcuni oggetti di arredo tra cui vasi, colonne portavasi, centri tavola e posaceneri provenienti dalla Cina, spicca la “testa di medusa” che identifica da sempre il marchio Versace. Tutto torna e nelle acque dei falsi Modigliani la moda si specchia come nuova forma d’arte del terzo millennio: anche dal mercato del lusso – benché tarocco – passa la democratizzazione dei consumi.  

Su Google quella testa di medusa vanta ad oggi circa 17.600.000 risultati (0,69 secondi), e se iniziate a digitare “morte Gianni” il primo risultato suggerito è “Versace”: prima di Agnelli, Nazzaro, Boncompagni, Rodari e Brera. Il profilo Versace ha oltre venticinque milioni di follower su Instagram, cinque su twitter  e quasi sette milioni di like su facebook.   

E anche se forse non sarà un’“orgia commemorativa” (come scrisse Marco Contini sulla morte di Fellini e come in parte è avvenuto la settimana scorsa con Maradona) oggi i social celebreranno in assenza il 75esimo compleanno del Gianni più famoso. Perché in un quarto di secolo si è alimentato col mito ingigantito dalla dannazione della morte l’amore per lo stilista che a sua volta s’innamorò della moda da bambino, nel negozio di sartoria della mamma, come quei cuochi cresciuti con la nonna tra i fornelli. 

A Reggio Calabria (nel CeDir c’è un auditorium che porta il suo nome) il museo dedicato a uno dei suoi figli più talentuosi e celebri di sempre – annunciato già nel 1998 ma tuttora cristallizzato in progetto (l’ultimo è “Per un museo dedicato a Gianni Versace”, elaborazione di Antonio Puro, presentato lo scorso marzo) – è ancora un feticcio da brandire in campagna elettorale come la fine dell’emergenza acqua. La Calabria è la terra dei progetti rimasti su carta, dei tavoli senza senso e dei cronoprogrammi non rispettati. 

Ma mentre qui si arranca rinunciando a un tributo che prosasticamente potrebbe attrarre altre folle e generare attenzioni ed economia nella città dei Bronzi, il brand reggino ha continuato a fare la sua strada ed è diventato planetario.  

Versace viene ancora citato nei pezzi rap americani (pronuncia “V-zaci”), è sinonimo di lusso pur avendo Gianni reso la moda – ha scritto il Post in un pezzo a vent’anni dalla morte – “il fenomeno di massa che è oggi”.  

E non poteva mancare la fiction a tema: andò in onda su FoxCrime nel 2018. Il compagno di Gianni, Antonio D’Amico, era interpretato da Ricky Martin: come Stallone, Madonna, e i Bee Gees, che «se ne andarono tutti per la paura», viveva a Miami quando lo stilista fu ucciso. Il caso di cronaca fu uno spartiacque perché poi «il mercato è crollato».

La sorella Donatella – la prima donna per la quale Gianni si dice abbia disegnato un abito – aveva il volto di Penelope Cruz: fu la prima volta che accettò di recitare in una serie tv. È un film da rivedere nei giorni in cui un’altra dinastia della moda – quella dei Gucci – arriva nelle sale cinematografiche tornate a ripopolarsi.  

Nel plot della realtà rientra invece il documentarista italiano Chico Forti, che dopo aver denunciato in una controinchiesta più di una incongruenza nelle indagini sulla morte di Gianni Versace fu condannato all’ergastolo per omicidio (lo scorso Natale è stata rilanciata la possibilità di un suo rientro dagli Usa, dove è detenuto).

Ancora cronaca che sa di fiction: la lussuosa residenza affacciata su Ocean Drive a Miami Beach dove Versace fu ucciso – 10 camere da letto, 11 bagni e una piscina ricoperta di mosaici d’oro – è oggi “The Villa Casa Casuarina”,  hotel di extra lusso, e quest’estate ha fatto notizia la macabra coincidenza del ritrovamento di due cadaveri – erano addetti alle pulizie – quasi nello stesso giorno (il 14 luglio, un giorno prima) di quella morte violenta nel 1997.  

È una ferita che, dunque, il prossimo 15 luglio si riaprirà per un altro anniversario, ancora più triste: i 25 anni dalla scomparsa. Poi soltanto Lady Diana riuscì a oscurare Gianni Versace, nell’estate in cui morirono i miti. 

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