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Martino Parisi e Serenella Corrado i docenti che non si sono piegati alle intimidazioni

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REGGIO CALABRIA – «Il pensiero di non denunciare non ci ha mai sfiorato. Siamo educatori: da sempre parliamo ed insegniamo agli studenti ed ai nostri 5 figli la legalità ed il significato della parola dignità che consente realmente di sentirsi liberi. Come avremmo potuto mai camminare a testa alta e guardarli negli occhi se avessimo taciuto e se ci fossimo piegati a subire quelle angherie mafiose?».

Serenella Corrado e Martino Parisi, coniugi, docenti e dirigenti scolastici reggini, spiegano senz’alcun ardore, quasi come fosse un’ovvietà, con parole miti, chiare e piane, e senza neppure usare il vocabolo “coraggio”, cio’ che dovrebbe essere scontato per tutti: davanti alla sopraffazione mafiosa si denuncia. La coppia reggina, che nei giorni scorsi ha assistito alla condanna del Tribunale di Reggio Calabria nei confronti di Emanuele (7 anni e 3 mesi) e Francesco (tre anni) Quattrone, zio e nipote, responsabili di una raffica di minacce e di intimidazioni nei loro confronti, fa, però, parte di quel numero limitatissimo ed elencabile sulla punta delle dita di una mano di cittadini che scelgono di denunciare le intimidazioni . Una storia che, anche per questo motivo abbiamo il dovere di non lasciare relegata, persa e diluita, tra le righe della cronaca giudiziaria.

Il sogno di Serenella e Martino diventa un incubo.

Tutto comincia nel 2010 dalla determinazione di voler realizzare un sogno per la propria famiglia e di lasciare una traccia di sè. Dopo una vita di lavoro e sacrifici, la coppia decide di vendere ogni bene, casa e terreni, per realizzare il loro posto dei sogni: una casa sulle colline di Gallina che sia anche un polo culturale. Presiedono l’associazione culturale senza fini di lucro Pentakaris, lui è’ stato presidente dell’Accademia di Belle Arti, lei è dirigente scolastico dell’Ic “Falcomatà – Archi”. La loro idea e’ quella di offrire alla città una scuola di avviamento e formazione dove i bambini possano studiare e imparare l’arte musicale.

La stipula di un regolarissimo contratto…..con l’estortore.

È del 2010 l’incontro con l’appaltatore Emanuele Quattrone che subentra ad una precedente ditta. Il contratto è dettagliato e nero su bianco. La coppia, pero’, comincia, su richiesta dell’uomo, ad anticipare, assegno dopo assegno, tutti i soldi che chiede Quattrone (“Ci diceva che altrimenti non avrebbe potuto pagare gli operai”). La casa/scuola, intanto, cominciava a prendere forma e la famiglia Parisi-Corrado si era già trasferita all’interno, per cui la priorità era andare avanti con i lavori. Quattrone sarà saldato con i 443 mila euro previsti nonostante i lavori non siano ancora neppure al 70%: anche l’ultimo assegno e step del contratto è documentato (“a saldo dell’operazione riceve 15 mila euro e si impegna a completare i lavori” recita il formale passaggio dell’atto). L’appaltatore non ancora estorsore li aveva rassicurati: “Per il momento non ho la possibilità di finirla ma i soldi me li avete dati tutti quindi, state tranquilli, sono una persona perbene, un uomo d’onore (….) e la casa ve la finirò il prima possibile”.

Comincia l’Odissea

Dalla casa senza facciata finita sulle colline di Gallina esce, quindi l’impresario, restano i Parisi ma allo stesso tempo inizia l’incredibile (ma tutta documentata ai Carabinieri ed in Procura) sequela di abusi e reati contro questa normalissima famiglia.

La testa di capretto.

Si comincia con un “classico” d’effetto: una bella testa mozzata di capretto al cancello di casa, poi un singolare allagamento della parte inferiore della casa dove è allocata la scuola di musica. Dall’acqua si passa al fuoco: la famiglia di docenti con in casa 5 figlioli si ritrova bruciata la parte esterna dell’abitazione. Un pressing stringente ed asfissiante di episodi che annovera anche “una finta rapina”, così viene definita dagli inquirenti, con l’incursione in casa in pieno giorno e proprio di lunedì mattina (tradizionale giornata di libertà del docente dagli impegni scolastici utilizzata spesso propri per gli incontri con l’appaltatore) di 4 uomini incappucciati che, attraverso una porta a vetro e mentre Parisi contatta le forze dell’ordine, gli puntano contro una pistola.

Le minacce.

Di lunedì in lunedì. Quello successivo alla finta rapina parte un altro must delle intimidazioni, le minacce telefoniche anonime: “Morirai tu ed i tuoi figli” sibilano gli sms inviati, si scoprira’ successivamente, da una cabina telefonica nei pressi di piazza Sant’Agostino, seguirà la presenza di 5 gatti morti nel giardino di casa, una bombola di gas sull’uscio domestico e la veranda disseminata di grossi ami da pesca.

L’unica difesa dalle minacce le denunce.

Con grande sorpresa di chi metteva in atto le intimidazioni, però, ogni episodio veniva regolarmente denunciato. Denunce che hanno riguardato i singoli fatti e non soggetti in particolare che restavano ignoti per i Parisi e da identificare per gli investigatori.

L’altra estorsione: il pizzo attraverso il decreto ingiuntivo.

Mentre le intimidazioni non ottengono l’effetto sperato e gli inquirenti sono al lavoro incrociando fatti e dati tra cui le immagini delle telecamere di sorveglianza fatte installare fuori casa e le intercettazioni telefoniche, nella casa scuola giunge però “un altro tipo di estorsione”. Arriva per posta e sotto forma di decreto ingiuntivo da 239 mila euro avanzato dall’appaltatore. Quasi una firma dopo tutti quegli episodi. Un atto contro cui i coniugi hanno presentato subito opposizione e che ha già registrato una sentenza del tribunale civile che ha dato torto a Quattrone ed ha riconosciuto invece il danno alla coppia reggina (quantificato in 120 mila euro) per non aver finito i lavori e averli fatti male, cui vanno anche aggiunte le ingenti spese processuali per gli atti del Ctu (sempre a carico di Quattrone ma che lo stesso ha già annunciato di non poter pagare e che, secondo i tortuosi giri di legge, resteranno a carico della coppia vittima).

La firma alle estorsioni

Prima della sentenza civile, intanto, l’appaltatore/estorsore, però, forse temendo il peggio, aveva tentato un “approccio” a modo suo: una lettera firmata dallo stesso Quattrone e rinvenuta nella buca delle lettere di casa Parisi in cui proponeva una “mediazione” sui generis: affermava “di volersi accontentare di 180 mila euro” ed infarciva la missiva di inequivocabili riferimenti ai 5 figli dei docenti, alludendo ai loro spostamenti in tutta la Calabria e quindi alla possibilità di “seguirne” la vita.

La svolta.

Nel frattempo la squadra Stato tra le cui braccia ha trovato l’unico conforto possibile questa famiglia lavorava sulle intercettazioni. Emanuele Quattrone era finito in manette per un’altra vicenda (era stato trovato in possesso di armi) e dal carcere invitava il nipote Francesco a recarsi a casa di Parisi, “ad occuparsi di Parisi”. Dopo solo 3 giorni da quelle indicazioni sull’uscio di casa Parisi comparve la bombola di gas. La procura attraverso indagini sofisticate ed intercettazioni ha individuato, cos’, ad uno ad uno, tutti i responsabili di questi atti intimidatori compiuti per dissuadere la famiglia Parisi dalla denuncia e convincerla a pagare una sorta di vera e propria tangente. Atti che si consumano chissà quante volte in altre case, in altre famiglie, nel silenzio, nel dolore, nella sottomissione, ma i Parisi hanno detto no. Grazie anche alla squadra Stato. “Un lavoro straordinario – dice oggi Martino Parisi – è un messaggio di fiducia da dare ai cittadini. Non dimenticherò mai ciò che i carabinieri e la procura hanno fatto per noi. Non ci hanno lasciati mai soli, hanno avuto un totale coinvolgimento emotivo e si sono dedicati a tirare fuori prove ed a venire a capo di questa dolorosa vicenda”. “Oggi la gente è sfiduciata: non denuncia perché crede che giustizia non sarà’ fatta. Io sul mio cammino ho incontrato giudici come Musolino, Frustaci, il maresciallo Germanà della stazione di Gallina ma anche l’enorme professionalità del mio avvocato, Andrea Alvaro, il supporto di Claudio La Camera dell’osservatorio sulla Ndrangheta. Non dimenticherò’ mai la splendida ricostruzione del pm Sara Amerio, durante il dibattimento, espresso come se fosse lei stessa la parte lesa. Quegli anni dal 2011 al 2016 sono sembrati vividissimi in aula. Ai cittadini dico funziona. Denunciate non avete alternativa: non è una questione di coraggio ma di dignità”.

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