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Massimo Ghini e Paolo Ruffini

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È la storia, «politicamente scorretta». di due persone molto diverse tra loro che finiscono per legarsi a vita. È un racconto di disabilità e di integrazione ma con ironia ed educata irriverenza. “Quasi amici”, tratto da una storia vera che è diventata prima un libro e poi un film, è in teatro con due protagonisti d’eccezione: Massimo Ghini e Paolo Ruffini.

Una commedia che ha attraversato la Calabria: lunedì 20 marzo al Teatro Grandinetti di Lamezia Terme e il 23 al Comunale di Catanzaro, entrambi organizzati da Ama Calabria. Il 21 e 22 marzo invece, è approdato al Teatro Rendano di Cosenza, con l’organizzazione firmata L’AltroTeatro.

A raccontare di più su “Quasi amici”, è stato proprio il protagonista, Massimo Ghini, poco prima di giungere in terra calabra, che ha proposto anche un’attenta riflessione.

Cos’è che affascina di questa storia?
«È la fotografia dei due protagonisti che riporta tutto a una dimensione di grande emozione, perché quel racconto al quale si assiste non è frutto della fantasia di uno sceneggiatore ma è una storia vera».

È una storia che definisce politicamente scorretta, come mai?
«È fortunatamente politicamente scorretta: la storia di un uomo ricco e un uomo povero, di un uomo colto e uno ignorante, uno educato e uno maleducato, che la vita e la difficoltà mette insieme. Tempo fa mi ero lamentato, e so che succederà anche in Calabria, che all’inizio dello spettacolo, a differenza del resto dell’Italia (e in questo c’è un’analisi storico etico morale e religiosa davanti), c’è una certa riluttanza a sorridere di situazioni anche se fanno ridere. Dura un quarto d’ora, ma da una battuta in poi che dico io, che sono “il poveraccio malato”, il pubblico si sente giustificato e non più in colpa. Le persone che hanno difficoltà nella vita però, quello di cui hanno bisogno è di sentirsi integrati nella vita di tutti».

Si crea dunque l’innalzamento di quelle barriere che nel politicamente corretto si predica debbano essere abbattute?
«Esattamente. Io comunque non accetto l’idea del politicamente corretto né del politicamente scorretto. C’è un’educazione e una maleducazione, una cultura e un’ignoranza».

Ha evidenziato questa differenza di pubblico. Avete già avuto modo di notare un divario?
«La mia è solo una riflessione e non una provocazione. Dappertutto, nord, centro e sud succede la stessa cosa: il pubblico si emoziona, si diverte, si entusiasma. È nello sviluppo la differenza. In questo quarto d’ora si capisce tutto. C’è da fare una riflessione su tipi di culture diverse che convivono in questo Paese che è unico al mondo. Ma la cosa che ci dà soddisfazione sono le persone che hanno una disabilità che a fine spettacolo ci aspettano e ci ringraziano perché si sentono protagonisti. E mi aspetto lo stesso in Calabria».

Sul palco è assieme a Paolo Ruffini, con il quale non è la prima volta che lavora. Siete vicini anche nella vita?
«Siamo tornati indietro, perché prima eravamo amici, adesso siamo “Quasi amici” (ride; ndr). Ho scoperto peraltro che nella classifica degli attori con cui ho lavorato di più Paolo è al terzo posto. Sono stato anche diretto da lui, lo vedrete tra un mese: ha girato un film delizioso, sulla storia di un bullo nel lockdown».

Tornando a Quasi amici, nel cast c’è un cognome che suona familiare…
«È un omonimo che abbiamo trovato per strada (ride; ndr). C’è mio figlio Leonardo che è stato chiamato dalla produzione e non l’ha raccomandato papà. Lo dico perché nella compagnia ci sono 4 giovani che fanno 3 ruoli per uno, la classica gavetta e anche io alla sua età facevo lo stesso. Interpreta tre personaggi totalmente diversi, è un’ottima scuola per un ragazzo che ha studiato in accademia e il giorno dopo che si è diplomato è iniziato il lockdown. Sta imparando tanto. E per me è bello anche perché giriamo assieme nella sua prima tournée».

Sarà a Cosenza, Catanzaro e Lamezia Terme. Torna con piacere?
«Torno sempre con grande piacere, anche perché la Calabria è legata ad un momento della mia vita particolare: feci un Tommaso Campanella, molto giovane, poco più che ventenne, per una produzione che si sviluppò e nacque proprio a Catanzaro. Invece poi da professionista, finalmente potetti vedere il Rendano di Cosenza, che è uno dei teatri più belli d’Italia e spero che i cosentini lo riconoscano».

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