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VIBO VALENTIA – Le copie del decreto di fermo emesso dalla Dda di Catanzaro contro le cosche della ‘ndrangheta del vibonese sono state trovate sul comodino della camera da letto del parroco di Stefanaconi, don Salvatore Santaguida, e dell’ex comandante della stazione dei carabinieri di Sant’Onofrio, maresciallo Sebastiano Cannizzaro, indagati per il reato di associazione per delinquere di tipo mafioso.   I documenti sono stati trovati dai carabinieri del comando provinciale di Vibo Valentia nel corso delle perquisizioni effettuate ieri nei confronti di don Santaguida e del maresciallo Cannizzaro.  

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Nelle due abitazioni sono stati trovati anche altri documenti e atti giudiziari relativi ad inchieste sulle cosche della ‘ndrangheta nel vibonese. I carabinieri, oltre a numeroso altro materiale, hanno sequestrato anche i computer dei due indagati. Gli inquirenti ritengono che si tratti di materiale di particolare interesse ai fini investigativi.   Nella stazione dei carabinieri di Sant’Onofrio, intanto, si sta inventariando un ingente quantità di atti, documenti e riscontri investigativi che il maresciallo Cannizzaro avrebbe acquisito e mai trasmesso alla Dda di Catanzaro. La mole del materiale è così consistente che saranno sforate le 48 ore imposte dai magistrati per la trasmissione di tutto il materiale.   Il decreto di perquisizione nei confronti dei due indagati è stato emesso dal procuratore aggiunto della Dda del capoluogo calabrese, Giuseppe Borrelli, e dal Pm, Simona Rossi. I due magistrati stamane hanno fatto il punto dell’attività investigativa analizzando i primi esiti delle perquisizioni.

C’è sorpresa, intanto, negli ambienti ecclesiali per il ruolo che i pentiti attribuiscono al parroco di Stefanaconi. Da ieri sera, dopo un incontro con il vescovo di Mileto, monsignor Luigi Renzo, il prete ha lasciato Stefanaconi per un periodo di riposo lontano dalla sua parrocchia. Nel piccolo paesino del vibonese, viene ricordato come il sacerdote che cambiò le regole della processione della “Affruntata”, la sacra rappresentazione della rivelazione del Cristo alla Madonna dopo la resurrezione, che si svolge la mattina di Pasqua.  Era l’aprile del 2003 quando don Salvatore decise di invertire le modalità della processione con l’intenzione di togliere spazio alle cosche della ‘ndrangheta. Fino al 2002, la parrocchia procedeva ad una specie di gara d’appalto per stabilire chi dovesse portare sulle spalle le due statue. Un incarico divenuto, con il tempo, simbolo di grande potere sociale. Un collaboratore di giustizia, Rosario Michenzi, aveva svelato che la ‘ndrangheta faceva in modo di mandare a fare il portantino esponenti delle cosche vincenti. Fu allora che don Salvatore Santaguida decise di avviare l’operazione trasparenza. Con una lunga lettera ai fedeli, riuniti per la funzione del sabato santo, spiegò che «l’ opportunità di portare le statue doveva essere data a tutti, anche a chi non aveva denaro da offrire». Fu così che si decise di sorteggiare coloro che dovevano portare le statue.  
A distanza di nove anni don Salvatore si ritrova a dover fare nuovamente i conti con i collaboratori di giustizia che questa volta, però, lo accusano di aver aiutato la cosca dei Patania nella faida contro la “Società di Piscopio” di Vibo, considerata emergente, e alla cosca Petrolo-Bartolotta di Stefanaconi.

Nel corso di un interrogatorio con i magistrati della Dda di Catanzaro, il collaboratore di giustizia, Daniele Bono, afferma che «don Salvatore aveva interessi, i Bonavota non li può vedere proprio. E i Piscopisani nemmeno».

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