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Il tribunale di Vibo Valentia

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VIBO VALENTIA Non luogo a procedere per intervenuta prescrizione. Si conclude così l’inchiesta “Purgatorio 3” su una presunta associazione a delinquere finalizzata al traffico di reperti archeologici a Vibo Valentia. Lo ha deciso il Tribunale di Vibo Valentia, presieduto dal giudice Tiziana Macrì, su richiesta della stessa procura vibonese. Fra gli indagati, considerato al vertice dell’associazione, figurava anche il boss di Limbadi Pantaleone Mancuso, nel frattempo deceduto.

L’operazione della Dda di Catanzaro, che scoprì l’esistenza di un cunicolo nel sito archeologico di Vibo Valentia dal quale sarebbero stati trafugati vari reperti di valore, scattò con le misure cautelari nel luglio del 2015 (ma il sequestro del sito era avvenuto nel febbraio del 2011). Poco dopo, però, le aggravanti mafiose caddero per decisione del Gip e poi del Tribunale della libertà, secondo i quali mancavano le prove che l’associazione a delinquere capeggiata dal boss Mancuso avesse lo scopo di andare e rimpinguare le casse del clan.

Cosicché, di fronte alla nuova contestazione, associazione a delinquere semplice, gli atti dell’inchiesta passarono dalla Dda del capoluogo calabrese alla procura di Vibo, che nel giugno del 2017 chiese il rinvio a giudizio per i 10 indagati (fra cui Giuseppe Braghò, studioso dei Bronzi di Riace), disposto dal Gup nel febbraio del 2019. Troppo tardi per celebrare il processo, conclusosi ancora prima di iniziare con la prescrizione.

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