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Un'aula di tribunale

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VIBO VALENTIA – Trentadue condanne e una assoluzione. Queste le richieste avanzate dal pm della Dda di Catanzaro, Andrea Mancuso, al processo Rimpiazzo, che ha visto rispondere 33 imputati dei reati, contestati a vario titolo, di associazione a delinquere di stampo mafioso finalizzata al traffico di droga, alla detenzione di armi, ed altro: per un totale di 393 anni di reclusione e 43.500 euro di multa. La requisitoria è iniziata ieri alle 9.30 per concludersi alle 17.30 con le richieste avanzate al Tribunale collegiale presieduto dal giudice Tiziana Macrì (a latere Conti e Ricotta).

La ricostruzione del pm Mancuso è stata lunga ed articolata. Ha infatti abbracciato tutto l’arco temporale della presunta cosca di Piscopio, dagli albori negli anni ’70-’80 fino ai giorni nostri, attingendo dagli atti, dalle sentenze, dalle circostanze in cui maturano i vari omicidi nel corso degli anni, e dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, soprattutto da quel Raffaele Moscato che ne fu componente di vertice fino al 2015, quando decise di saltare il fosso e collaborare con la giustizia, svelando tutte le sue conoscenze.

Il rappresentante della Dda si è poi concentrato sulla figura di Francesco Scrugli che «era sia vicino ad Andrea Mantella che agli stessi piscopisani all’interno del cui gruppo era stabilmente inserito fino al giorno della sua morte per mano dei sicari del clan Patania».

Quindi, il riferimento al 2010 con gli arresti (e le conseguenti condanne) di Michele Fiorillo (“Zarrillo”) e Salvatore Galati nell’ambito dell’indagine “Il Crimine” e poi all’indagine “Minotauro” che hanno «svelata i collegamenti tra Piscopio e il Crimine di Polsi». A seguire il capitolo della sanguinosa faida contro il presunto clan di Stefanaconi con il primo omicidio, quello di Michele Mario Fiorillo, del 16 settembre 2011, e la risposta immediata, due giorni dopo, con l’eliminazione del capofamiglia dei Patania, il presunto boss Fortunato Patania, perché «non si può uccidere un piscopisano senza l’assenso del proprio gruppo». Da qui, l’operazione “Gringia” che «accerterà la presenza di un clan di Piscopio e che sarà giudizialmente provato». La faida certifica inoltre l’intervento di Pantaleone Mancuso alias “Scarpuni” a sostegno dei Patania. Una mossa, questa, che «nasce anche a seguito dell’omicidio Palumbo» il quale scaturisce «dall’estorsione all’imprenditore Maduli (parte civile al processo, ndr), perché quando i piscopisani si recano da questi, Palumbo, parlando con lo stesso, gli dice di stare tranquillo in quanto per ogni necessità ci sarebbero stati loro”. Avendo avuto questa informazione su Palumbo, «i piscopisani agiscono e lo uccidono».

La ricostruzione storica del clan viene «offerta dai collaboratori di giustizia Andrea Mantella e Bartolomeo Arena – aggiunge il pm – che fanno riferimento ad una vecchia Locale di ’ndrangheta, dalle cui ceneri nascerà una nuova in cui qualche esponente della prima confluirà nella seconda, divenendone il vertice». Quindi, i rapporti della «vecchia Locale con Saverio Razionale e Gasparro del clan di San Gregorio, proseguiti in parte anche dagli esponenti del successivo sodalizio». Altro riferimento è stato all’operazione “Zain”, vale a dire l’estorsione al mulino Morelli dei primi anni 2000, che ha «rappresentato una delle circostanze in cui si mettono in risalto nuove e vecchie leve della consorteria».

Il pm Mancuso ha parlato quindi anche delle «strette connessioni dei Piscopisani con i Tripodi, anche per via di legami di sangue, che poi vennero in parte meno quando questi ultimi si riavvicinarono alla frangia dei Mancuso guidata da Cosmo e questo emerge dall’operazione “Lybra” contro il gruppo di Portosalvo-Vibo Marina». E legato sia agli uni che agli altri è stato Raffaele Moscato, che una volta pentitosi, ha ammesso una lunga serie di delitti, omicidi compresi, rendendo «pertanto apprezzabile la sua attendibilità nelle narrazioni in quanto i fatti che riferisce arrivano proprio dall’interno del clan, essendo fonte pregevolissima». Non per nulla fu lui a dare una nuova spinta investigativa che portò all’operazione “Rimpiazzo”, unitamente a Bartolomeo Arena che «conferma i narrati di quest’ultimo e di Mantella e anzi li approfondisce ulteriormente».

Un po’ diverso il ragionamento sulla figura di Mantella il quale non essendo intraneo al sodalizio, in quanto ne ha uno tutto suo, aveva comunque infiltrato all’interno il proprio uomo fidato Francesco Scrugli che gli riferiva tutte le attività della consorteria; e ancora accenno agli altri pentiti Daniele Bono e Loredana Patania che «apprendono le dinamiche criminali per aver vissuto con la famiglia di Stefanaconi, compresa quella sulla faida».

Queste, dunque, le richieste del pm Andrea Mancuso al termine della requisitoria: Nicola Barba (8 anni e 3.000 euro di multa); Rosario Battaglia (30 anni); Giuseppe Brogna (12 anni), Nazzareno Colace (11 anni e 4mila euro), Domenico D’Angelo (12 anni), Giuseppe D’Angelo (15 anni), Angelo David (16 anni e 1.500 euro), Stefano Farfaglia (13 anni e 6 mesi), Francesco Felice (19 anni), Andrea Ippolito Fortuna (9 anni e 6mila euro), Maria Concetta Fortuna (11 anni), Michele Fortuna cl. ’85 (10 anni e 10 mesi), Nazzareno Galati (22 anni e sei mesi), Salvatore Giuseppe Galati (16 anni), Benito La Bella (20 anni e sei mesi), Giuseppe Lo Giudice (5 anni e 4 mesi e 2mila euro), Tommaso Lo Schiavo (4 anni); Pantaleone Mancuso cl 8/61 (12 anni e 4.500 di multa), Raffaella Mantella (2 anni), Michele Silvano Mazzeo (12 anni e 1.500 di multa), Nazzareno Pannace (17 anni), Francesco Popillo (17 anni), Simone Prestanicola (3 anni), Francesco Romano (17 anni), Pierluigi Sorrentino (17 anni), Rinaldo Michele Staropoli (10 anni e 10mila euro di multa), Francesco Tassone (16 anni), Annarita Tavella (2 anni), Gianluca Rosario Tavella (8 anni e 6mila euro), Giovanni Tinelli (3 anni di reclusione), Leonardo Vacatello (9 anni e 6 mesi e 3mila euro), Luigi Francesco Zuliani (6 anni e 2mila euro oltre confisca di quanto sequestrato). Unica assoluzione richiesta per Mariano Natoli.

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