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Dichiaro subito la mia immensa felicità per la scoperta letteraria di cui fornirò, adesso, alcune anticipazioni. Corrado Alvaro è uno degli scrittori che più amo e che, forse, meglio conosco. È certamente l’autore che ha anche colto, narrato e interpretato l’antropologia profonda della Calabria, segnalandone contrasti, bellezze, miti, tortuosità, asprezze. La sua “ombra” mi accompagna da sempre, a volte mi ossessiona e mi sovrasta, benevola. Con questa premessa, chi legge queste pagine potrà immaginare l’emozione, lo stupore, la commozione (ma anche la preoccupazione e il senso di responsabilità) avvertiti quando mi sono trovato davanti (grazie a Gilberto Floriani del Sistema Bibliotecario Vibonese) poesie, racconti, lettere, fotografie del “giovane Alvaro”, anche manoscritti, con la sua grafia inconfondibile, o dattiloscritti, con le sue correzioni e i suoi interventi sui testi, che apportava già nelle primissime prove di scrittore, a conferma che scrittore era nato e scrittore si era sentito fin da giovane. 
Avevo, certo, visto nel corso degli anni e delle mie ricerche, fogli manoscritti e dattiloscritti di Alvaro: a Roma nella casa del figlio Massimo, grazie alla cui disponibilità e generosità, ho avuto modo di curare e fare pubblicare (dalla Monteleone editore di Vibo Valentia) in una collana da me diretta “I libri di cento pagine”, una raccolta di articoli apparsi su «La Stampa», e «Viaggio in Turchia» (con una bella presentazione di Mario Fortunato). Avevo visto carte alvariane anche nella casa di don Massimo Alvaro, con cui ho avuto una lunga frequentazione, culturale e amicale, e anche presso la famiglia di suo nipote Mario Saccà (la cui figlia Maria è una bravissima cultrice e studiosa di memorie alvariane e familiari), prima che venissero consegnate a Massimo Alvaro e poi, in parte, alla Fondazione Corrado Alvaro di S. Luca. 
Quando, però, ho incominciato ad osservare, sfiorare, leggere scritti giovanili, prime prove di autore, bozze di racconti, poesie, un dramma compiuto, il racconto “Un paese” (1916), da cui poi sarebbe nato, come scrive lo stesso Alvaro, “Gente in Aspromonte”,  quando sono apparse, carte di cui nulla si sapeva, e si immaginava l’esistenza, miracolosamente, e quasi per caso, “salvate”, mi è stato difficile non pensare a una sorta di sorpresa, di dono, a un qualche “segreto” che mi veniva affidato, per via misteriosa, dallo “scrittore dei segreti”. Con senso religioso, con cura, con amore mi sono subito attivato (assieme a Gilberto Floriani del SBV e alla mia Università)  per “salvare”, custodire, “proteggere” le carte del Fondo Lico.

DICHIARO subito la mia immensa felicità per la scoperta letteraria di cui fornirò, adesso, alcune anticipazioni. Corrado Alvaro è uno degli scrittori che più amo e che, forse, meglio conosco. È certamente l’autore che ha anche colto, narrato e interpretato l’antropologia profonda della Calabria, segnalandone contrasti, bellezze, miti, tortuosità, asprezze. La sua “ombra” mi accompagna da sempre, a volte mi ossessiona e mi sovrasta, benevola. Con questa premessa, chi legge queste pagine potrà immaginare l’emozione, lo stupore, la commozione (ma anche la preoccupazione e il senso di responsabilità) avvertiti quando mi sono trovato davanti (grazie a Gilberto Floriani del Sistema Bibliotecario Vibonese) poesie, racconti, lettere, fotografie del “giovane Alvaro”, anche manoscritti, con la sua grafia inconfondibile, o dattiloscritti, con le sue correzioni e i suoi interventi sui testi, che apportava già nelle primissime prove di scrittore, a conferma che scrittore era nato e scrittore si era sentito fin da giovane. Avevo, certo, visto nel corso degli anni e delle mie ricerche, fogli manoscritti e dattiloscritti di Alvaro: a Roma nella casa del figlio Massimo, grazie alla cui disponibilità e generosità, ho avuto modo di curare e fare pubblicare (dalla Monteleone editore di Vibo Valentia) in una collana da me diretta “I libri di cento pagine”, una raccolta di articoli apparsi su «La Stampa», e «Viaggio in Turchia» (con una bella presentazione di Mario Fortunato). Avevo visto carte alvariane anche nella casa di don Massimo Alvaro, con cui ho avuto una lunga frequentazione, culturale e amicale, e anche presso la famiglia di suo nipote Mario Saccà (la cui figlia Maria è una bravissima cultrice e studiosa di memorie alvariane e familiari), prima che venissero consegnate a Massimo Alvaro e poi, in parte, alla Fondazione Corrado Alvaro di S. Luca. Quando, però, ho incominciato ad osservare, sfiorare, leggere scritti giovanili, prime prove di autore, bozze di racconti, poesie, un dramma compiuto, il racconto “Un paese” (1916), da cui poi sarebbe nato, come scrive lo stesso Alvaro, “Gente in Aspromonte”,  quando sono apparse, carte di cui nulla si sapeva, e si immaginava l’esistenza, miracolosamente, e quasi per caso, “salvate”, mi è stato difficile non pensare a una sorta di sorpresa, di dono, a un qualche “segreto” che mi veniva affidato, per via misteriosa, dallo “scrittore dei segreti”. Con senso religioso, con cura, con amore mi sono subito attivato (assieme a Gilberto Floriani del SBV e alla mia Università)  per “salvare”, custodire, “proteggere” le carte del Fondo Lico.

 

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