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Giovanni Benvenuto

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Tanti premi per i vini prodotti da Giovanni Benvenuto, imprenditore vibonese di Francavilla Angitola, celebrati anche dal New York Times.

VIBO VALENTIA – «Pensi che da piccolo sognavo di fare l’archeologo!». Sorride Giovanni Celeste Benvenuto, 40 anni, laurea in agraria, esperto agronomo e titolare delle “Cantine Benvenuto”, azienda vinicola che ha già conquistato la notorietà in Italia e anche a livello internazionale, soprattutto per aver riportato in auge una coltivazione, quella dello Zibibbo, che qui da noi si era sostanzialmente persa.

Difficile dire cosa leghi l’archeologia con l’enologia, quale alchimia possa aver agito. Fatto sta che quel sogno non si è concretizzato, e per fortuna verrebbe da dire, visti i risultati.

Entrando in azienda, nelle campagne di Francavilla Angitola nel Vibonese, ti vengono incontro, appesi alle pareti, alcuni dei numerosi riconoscimenti attribuiti ai vini di Giovanni Benvenuto. L’ultimo proprio di recente.

«Sì, ne abbiamo avuti parecchi, ad iniziare dal New York Times…»

…che vi ha fatti entrare nel salotto buono dell’enologia mondiale, una consacrazione insomma.

  «Beh, quando il New York Times t’inserisce tra i migliori 10 bianchi d’Italia è come raggiungere la vetta dalla quale ti fermi ad ammirare il percorso fatto, pronto poi per ripartire ancora più carico. Mi piace citare anche Decanter, la “bibbia” britannica del vino, che di recente ci ha inseriti tra i migliori 10 bianchi d’Italia, il primo in assoluto in Calabria. E ancora, due settimane fa, il concorso in Puglia “Radici del Sud”, il Salone dei vini ed oli del sud Italia: primo premio al nostro Celeste 2021, assegnato da una giuria di giornalisti internazionali».

Che cosa significa per lei ricevere un premio?

«Una gratificazione, indubbiamente, che ripaga dell’impegno profuso. E a volte senti anche un po’ di amarezza, constatando che i riconoscimenti arrivano da fuori della tua terra, insomma “nemo propheta in patria”. Infine, per me un premio è anche uno stimolo a fare sempre meglio».

La sua sembra una storia romanzata: sognava l’archeologia ma poi si è rivolto all’enologia. Com’è nata questa passione?

«Mio padre aveva una piccola vigna che curava personalmente. Vedere il verde e la tranquillità della campagna, il vino… Insomma, rimasi affascinato».

Quante persone lavorano per creare i vini di Giovanni Benvenuto?

«Normalmente siamo una decina, quasi il doppio per la raccolta».

Parliamo dello Zibibbo, il prodotto di punta delle cantine Benvenuto.

«Mi lasci dire, con orgoglio, che siamo stati i primi a vinificare lo Zibibbo Igp. Sono fiero di essere riuscito a recuperare questo prezioso vitigno, un tempo comune nelle nostre campagne ma che era ormai quasi scomparso. Prima di noi qualche contadino lo faceva ma abusivamente, non era consentita l’etichettatura. Aver recuperato lo Zibibbo e poterlo raccontare al mondo è il mio gesto di amore verso la Calabria».

Si dice che il vino, quello di livello, come è il suo, non è solo piacere ma anche cultura. E’ d’accordo?

«Certamente. Il vino ci parla delle nostre radici, ci rimanda ad una cultura contadina ormai scomparsa. E poi pensiamo a quanti letterati hanno scritto del vino. Infine, il vino apre alla convivialità, dunque anche al confronto delle idee».

Tra i clienti delle Cantine Benvenuto ci sono personaggi di spicco della politica, dello spettacolo.

«E’ vero e questo naturalmente ci fa molto piacere. Ma preferisco non fare nomi per rispetto della loro privacy. Ne dico solo due: Amadeus e Giletti, che come gli altri ci onorano della loro preferenza».

Cantine Benvenuto non vuol dire solo Vini Zibibbo.

«Certo. Oltre allo Zibibbo secco, che è il nostro prodotto di punta, abbiamo il Mare (Zibibbo e Malvasia), lo Zibibbo macerato di colore arancione che si produceva più di duemila anni fa, un passito, un rosso e un rosato. Esportiamo in Italia e all’estero ma la nostra è comunque una produzione di nicchia, e tale vogliamo che resti, per continuare a puntare sulla qualità».

Di quali numeri parliamo?

«Oggi siamo attestati sulle 60 mila bottiglie l’anno».

 Ce ne vorrebbero di più?

«Dipende dove si vuole arrivare. Quando entrerà in produzione il vigneto che avrete visto venendo qui, potremo produrne 80 mila. E lì ci fermeremo».

Che cosa significa, dal suo punto di vista, fare l’imprenditore oggi in Calabria?

«Qui come altrove significa, innanzi tutto, avere voglia di mettersi alla prova. In più, però, qui da noi ci sono difficoltà oggettive che riguardano le infrastrutture, il reperimento di materiali, bottiglie, tappi. E anche trovare professionalità adeguate».

È complicato, insomma.

«Sì, in Calabria per un imprenditore del mio settore tutto diventa più complicato rispetto ad altre zone di elezione della viticoltura italiana, ad esempio il Veneto, la Toscana e via dicendo».

E il contesto, diciamo così, sociale non pesa? Mi riferisco alla presenza e agli appetiti di una criminalità sempre arrogante.

«Noto con grande piacere che le cose stanno cambiano in meglio. Per questo ringraziamo anche l’operato di chi, come il procuratore Gratteri, sta facendo tanto per rendere più respirabile l’aria della nostra terra».

Cosa manca alla Calabria per ridurre almeno il gap con altre regioni più avanzate?

«Manca professionalità in primis, perché spesso ci s’improvvisa. Vale per tutti i settori, non solo per il mio. Intendiamoci, non si nasce con la competenza ma bisogna avere l’umiltà di accettare di dover studiare per acquistarla».

Per concludere, cosa vorrebbe chiedere alla politica, al presidente Occhiuto in primis?

«Di continuare a fare ciò che stanno facendo».

È soddisfatto, dunque?

«Sì, lui e l’assessore Gallo sono i primi, dopo tanti anni, a fare qualcosa per il settore agricoltura, ed enologico in particolare. Ci sostengono nelle fiere, negli eventi in Italia e all’estero, a cominciare da VinItaly».

Non vi sentite soli, insomma.

«Proprio così. Al riguardo, dopo le recenti forti piogge che, come in altre parti d’Italia, ci hanno arrecato notevoli danni, chiediamo loro di starci accanto anche in questa occasione».

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