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A nche in politica i nodi vengono al pettine. Mi riferisco al «caso Bonafede», il ministro della Giustizia che tra mercoledì e giovedì prossimi potrebbe contribuire, con la sua relazione al Parlamento, a dare il benservito al premier Giuseppe Conte. O, comunque, ad aprire nuovi scenari. Alcuni dei cosiddetti “responsabili” non sono affatto d’accordo sull’impostazione data dal ministro della riforma della giustizia. Non piace, infatti, il suo modo di essere giustizialista, come pure il capitolo che riguarda i tempi relativi alla prescrizione dei reati.

E poi c’è un passato che torna come quello che ha visto il Guardasigilli fortemente contestato nella vicenda per la scarcerazione dei boss. Sul percorso del premier intanto è esplosa la mina Cesa proprio nel momento in cui l’Udc stava per confluire in una formazione di centro che avrebbe dovuto garantire a Conte l’allargamento della maggioranza.

E’ evidente, come era prevedibile, che al Senato nella seduta di giovedì il premier non si ritrovi i numeri per poter governare anche perché tra responsabili pentiti, centristi in difficoltà, netta chiusura a Italia viva di Renzi e primi dissensi nello stesso Pd la sua posizione diventa estremamente critica. Senza mettere in conto che tra i Cinquestelle si è aperto un dibattito sul futuro politico del premier.


Giuseppe Conte potrebbe allora giocare d’anticipo rassegnando le dimissioni e in caso di reincarico dal presidente della Repubblica dare vita a un nuovo esecutivo. Ma il premier sembra invece ostinato ad andare avanti perseverando in quella “campagna acquisti” che potrebbe garantirgli la gestione del potere. Ma è una strategia senza prospettiva considerato che dopo il caso Bonafede su altri argomenti di particolare importanza egli sarebbe costretto sempre a mettere in moto una nuova ed estenuante trattativa. In tal caso la crisi sarà solo rimandata a breve tempo.

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