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La Camera dei Deputati

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Che cosa può succedere con Camera e Senato così balcanizzati su catasto, riforme di fisco, giustizia (civile, penale, Csm) balneari, pensioni e così via con referendum e elezioni alle porte? L’impianto riformatore del governo Draghi è messo a rischio da un Parlamento sciolto da ogni disciplina, da capi partito e ministri double face. Se si prosegue con questo andazzo rischia di saltare il calendario di riforme a tappe forzate del Pnrr che è scandito da obbligazioni temporali alla esecuzione delle quali sono legati i soldi europei. Sembrano avere tutti una irresponsabile voglia di disarcionare da Palazzo Chigi il Cavaliere bianco, Mario Draghi. Non si rendono nemmeno conto che stanno disarcionando la reputazione dell’Italia e che nell’ingorgo che inevitabilmente ne discenderebbe i primi a finirci sarebbero loro stessi.

Smettiamola di prenderci in giro. Abbiamo come Paese un problema di cortocircuito tra Parlamento, partiti e governo. È un problema grande come una casa e non si può più fare finta di niente. Il governo Draghi la scorsa notte è andato sotto quattro volte nelle Commissioni Bilancio e Affari costituzionali su varie misure tra cui il nuovo tetto al contante e la destinazione dei fondi della famiglia Riva all’ex Ilva. Il limite alle operazioni in contanti era stato fissato a mille euro dal primo gennaio, ma è stato riportato a duemila.

I ministri della Lega hanno approvato la scelta, ma la Lega non è d’accordo, non vuole abbassare il tetto. Quindi in Parlamento esce transitoriamente dal governo, presenta un emendamento e lo fa approvare con i voti di Forza Italia che è un altro partito della coalizione di maggioranza. I fondi della famiglia Riva dovevano andare a Acciaierie d’Italia per finanziare la decarbonizzazione, ma sono andati alla bonifica delle aree inquinate perché Pd e Cinque stelle in Parlamento volevano così, ovviamente al governo volevano colì. Ricordate le facce di Salvini, Conte e di tutti i big di Forza Italia riuniti: Draghi al Quirinale? Per carità, deve governare, senza di lui non si può più governare; governi, governi, governi se no salta tutto! I comportamenti di oggi rendono miserabili le dichiarazioni di ieri. Questo lo capisce anche un bambino.

La verità è che il merito di questi emendamenti della notte scorsa ha un suo significato tecnico, ma prima di tutto viene un merito politico che fa paura. Siamo davanti a un segnale chiarissimo: il parlamento è ingovernabile. I postumi della settimana di follie quirinalizie dove i capi partito bruciavano candidati à gogo e i parlamentari ripetevano “tutti meno Draghi”, cominciano ad essere evidenti. La domanda, a questo punto, è obbligata: che cosa può succedere con un Parlamento così balcanizzato su catasto, riforme di fisco, giustizia (civile, penale, Csm) balneari, pensioni e così via con referendum e elezioni alle porte?

L’impianto riformatore del governo Draghi è fortemente messo a rischio da un Parlamento che non governa più nessuno. Non ce ne rendiamo ancora conto fino in fondo, ma se si prosegue con questo andazzo ne va dell’attuazione del Piano nazionale di ripresa e di Resilienza (Pnrr). Perché rischia di saltare molto banalmente il calendario di riforme a tappe forzate che abbiamo sottoscritto in sede di approvazione del Pnrr che è scandito da obbligazioni temporali assunte dalla Repubblica italiana alla esecuzione delle quali sono legati i soldi europei. Quello che è successo con il contante è particolarmente emblematico.

In Europa il governo dice che porrà un limite più ristretto, in Parlamento i partiti del governo fanno l’esatto opposto.

Diciamo le cose come stanno. Il Parlamento italiano oggi è sciolto da ogni disciplina. Tanto per fare un altro esempio e capire bene di che cosa stiamo parlando, riferiamo ciò che è successo al primo incontro con il governo sulla riforma fiscale alla Commissione Finanze alla Camera. Gli esponenti della Lega hanno detto chiaro chiaro: se non togliete l’articolo sul nuovo catasto, noi non votiamo nulla. Sui balneari è successo di peggio. Gli stessi ministri leghisti che hanno approvato all’unanimità la riforma con legge delega fanno capire nel giro di meno di ventiquattro ore che in Parlamento il provvedimento lo cambiano. I partiti e le loro rappresentanze parlamentari sono sganciati da tutto. Fanno come vogliono.

I mercati alle prese con il caro energia, le tensioni geopolitiche in Ucraina con una guerra mai iniziata ma sempre più colpevolmente raccontata, la minaccia globale dell’inflazione e i banchieri centrali della Bce più queruli della sua storia, non sono nelle condizioni di occuparsi di queste guerricciole parlamentari italiane. Quando, però, si comincerà a vedere che le riforme non vanno avanti perché un parlamento anarchico di fatto sta scavando la fossa al governo in modo sempre più evidente e i partiti non rispondono alla disciplina di maggioranza ma neppure alla disciplina di coalizione peraltro di assetto variabile, allora le cose si mettono davvero male. Perché, se la vogliamo dire proprio tutta, siamo davanti a un modo di fare che non tiene proprio più conto delle indicazioni del governo. Perché non si può continuare impunemente a dire “in Parlamento cambiamo tutto” non solo perché simili affermazioni e simili comportamenti sono completamente incompatibili con l’attuazione del Pnrr.

Qui siamo davanti a un punto delicatissimo. Perché è vero che il Parlamento è sovrano, ma non è vero – come qualcuno dice- che il Parlamento è sovrano e, quindi, sono cavoli suoi. Sarebbero anche cavoli nostri e anche il popolo è sovrano, anche noi siamo “sovrani”. I parlamentari sembrano avere interpretato il passaggio del discorso di Mattarella che chiedeva giustamente di dare tempi congrui al Parlamento per esaminare e approvare le leggi con un ragionamento del tipo “facciamo quello che vogliamo”.

Il senso di quelle parole non era affatto questo. Parlamentari e capi partito stanno di fatto travisando in modo strumentale anche le indicazioni date dal Capo dello Stato in Parlamento nel momento più solenne del suo giuramento a Camere riunite. Sembrano avere tutti, chi più chi meno, una irresponsabile voglia di disarcionare da Palazzo Chighi il Cavaliere bianco, Mario Draghi. Non si rendono nemmeno conto che stanno disarcionando la reputazione dell’Italia e che nell’ingorgo che inevitabilmente ne discenderebbe i primi a finirci sarebbero loro stessi. Se non ci arrivano da soli a capire, qualcuno si prenda la briga di spiegarglielo.


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