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Vincent Lindon

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Ha al suo attivo quasi 70 film, è il volto che, come già quello di Gian Maria Volonté un tempo, da più di trent’anni a questa parte rappresenta la Francia nel cinema a livello internazionale. In Italia abbiamo cominciato ad apprezzare il fascino di Vincent Lindon quando, nel 1988, recitò al fianco di Sophie Marceau nel romantico Il Tempo delle Mele 3 (e fu noto alle cronache rosa per aver amato Carolina di Monaco).

Negli anni 90 Lindon ha poi proseguito la sua carriera con ruoli sempre più impegnativi ottenendo un grande successo nei panni dell’avvocato Victor ne La Crisi! di Coline Serreau. Ha dato pregio all’opera prima dello scrittore Emmanuel Carrère con la sua interpretazione ne in L’Amore Sospetto (2005) e ha commosso il mondo nel ruolo del tenace istruttore di nuoto che sostiene un giovane immigrato clandestino in un’impresa eccezionale e drammatica nel film Welcome di Philippe Lioret (2009).

Lindon, discendente di una famiglia alto borghese, è stato poi magistrale nell’interpretazione di un operaio di fabbrica nel film La Legge del Mercato di Stéphan Brizé, grazie al quale, nel 2015, ha vinto il premio come miglior attore al Festival di Cannes e ai César (gli Oscar francesi). Dopo aver presentato all’ultima Mostra del Cinema Un altro mondo, sempre diretto da Brizé, la scorsa settimana è tornato in Italia per parlare del film che a luglio ha vinto la Palma d’oro, Titane di Julia Ducournau, di cui è protagonista al fianco della giovane Agathe Rousselle, in uscita giovedì prossimo grazie ad I Wonder Pictures.

Lindon respinge qualsiasi atteggiamento che sia anche solo vagamente divistico e detesta le etichette, è prima di tutto un uomo estremamente onesto con se stesso e consapevole di sé, il che fa di lui un attore capace di conferire ai propri personaggi una struttura e una coscienza molto concrete e di mescolare virilità e sentimento senza cadere in contrasto.

Agathe Rousselle nella scena di sesso con la Cadillac

In Titane, pur mantenendo, come è solito fare nelle sue interpretazioni, un aspetto esteriormente forte e a tratti ruvido, il suo personaggio rappresenta la parte più umana del racconto, la sensibilità che salva e conduce ad una rinascita. Titane è un film che esce dai canoni di genere, sia in senso cinematografico che in senso identitario, ed è tanto oscuro e violento quanto realistico e drammatico. A Cannes alcune scene del film particolarmente forti, come quella in cui la protagonista riesce a fare sesso con un’auto restandone incinta, hanno fatto molto discutere.

La vittoria di Titane quale miglior film in Concorso ha suscitato numerose polemiche anche in casa nostra dove Moretti, anche lui in Concorso con il suo atteso e non troppo apprezzato Tre Piani, ha mostrato senza veli tutto il suo disappunto sui social. Vincent Lindon però non si cura molto della critica, che sia positiva o negativa, lui segue il suo giudizio con convinzione inossidabile.

Che cosa ha pensato dopo aver letto per la prima volta la sceneggiatura di Titane?

«Non posso parlare esattamente di pensiero. Dopo aver letto la sceneggiatura ho avuto una reazione quasi animale, istintiva, che non aveva niente a che fare con una elaborazione cinematografica sul personaggio. È stato come trovarmi di fronte a qualcosa di assolutamente imperdibile, imprescindibile, una specie di colpo di fulmine, come quando si incontra qualcuno e ci si innamora a prima vista. Ho sentito che non avrei mai potuto lasciare questo film ad altri, non avrei mai consentito che quel personaggio venisse interpretato da un altro attore. Poi naturalmente in seconda battuta c’è stata una fase di riflessione ed elaborazione fatta insieme a Julia, abbiamo parlato a lungo del personaggio, del messaggio e del film. Il primo però non è stato proprio un pensiero, è stata più una reazione».

Frequentemente l’abbiamo vista interpretare personaggi dalla forte connotazione sociale o politica, quanto le corrispondono questi ruoli?

«Coscientemente non sarei in grado di reperire nei personaggi che interpreto i luoghi che corrispondono a me stesso».

E quello di questo film, che porta il suo stesso nome, eppure è così diverso dai precedenti, quanto le assomiglia?

«È strano che non me l’abbiano mai chiesto prima, la domanda mi fa riflettere. Inconsciamente mi chiedo quanto il lavoro di preparazione fisica fatto nell’arco di tre anni per costruire il corpo di questo personaggio, per poterlo rappresentare e per rappresentare il desiderio di quest’uomo di lottare contro la morte, contro il decadimento fisico e contro l’avanzare della vecchiaia, non sia in qualche modo un punto di contatto con me stesso: con il mio personaggio condivido queste paure. Oltre a questo, c’è anche il discorso della paternità che mi ha particolarmente toccato e mi appartiene molto. Non c’è mestiere al mondo che io ami di più, non c’è occupazione al mondo che mi appassioni di più che l’essere padre dei miei figli. Questo è indubbiamente un aspetto del personaggio in cui ho messo me stesso».

Cosa ha lasciato in lei il Vincent di Titane?

Lindon in “Titane” interpreta il pompiere Vincent

«Ciascun personaggio che un attore interpreta lascia qualcosa in lui. Nel caso di questo film si tratta di elementi futuristici, nel senso etimologico del termine, ed estremamente innovatori. Titane è un film che parla con ampio anticipo di quello che sarà il nostro futuro di esseri umani. Questa è sicuramente una capacità riconoscibile solo in grandi opere fatte per mano di grandi artisti quale Julia Ducournau ha dato prova di essere. I grandi artisti non rincorrono la storia, tutt’al più stanno al passo con essa o la anticipano. Julia con questo film l’ha sicuramente anticipata ed è stata in grado di raggruppare tutta una serie di idee che hanno a che fare con il futuro di noi esseri umani. Questo ha reso per me estremamente interessante lo scambio tra me e il mio personaggio. È stata sicuramente un’esperienza che non lascia indenni, ma che arricchisce. Sarà poi il tempo a farmi mettere a fuoco quali irradiamenti di questo personaggio sulla mia identità mi porterò dietro».

Titane, alla sua presentazione a Cannes, ha ricevuto alcune critiche non proprio positive da parte della stampa internazionale. Come le ha accolte?

«Per dirla all’italiana, chi se ne frega (dice l’attore proprio in italiano, sorridendo con fare deciso, ndr)! Non mi dà minimamente fastidio il fatto che Titane sia un film divisivo, non mi preoccupa e non mi disturba minimamente. Le opinioni possono cambiare e se non cambiano non è grave. È impossibile piacere a tutti, il tentativo di piacere a tutti è il modo migliore per fare un’opera assolutamente mediocre. L’importante è piacere a se stessi, fare quello che si desidera. Sono sicuro che questo sia anche il punto di vista di Julia. Che importa se agli altri non piace? L’importante è dormire serenamente la notte! Se si fa qualcosa di assolutamente in linea con i propri valori, con i propri principi, con i propri ideali e le proprie pulsioni, non è un obbligo piacere agli altri».

Si aspettava che il film vincesse?

«No, non me l’aspettavo, ma questo film dimostra che si possono fare cose formidabili e straordinarie in funzione dell’esperienza cinematografica».

A proposito di esperienza cinematografica, cosa ne pensa delle piattaforme streaming?

«Quella tra sala cinematografica e piattaforme streaming è una lotta titanica. Niente potrà mai restituire l’emozione di uno spettacolo su un grande schermo. Titane è un film da sala cinematografica, che ha richiesto un grande sforzo nella cura della messa in scena, e Julia non lo ha certamente fatto per un consumo casalingo in cui si può mettere in pausa un dispositivo per andare a bere una bibita. Quelli di questo film sono 90 minuti che richiedono uno sforzo di concentrazione molto intenso, da trascorrere con il cellulare spento. È il minimo che si possa fare per entrare nell’universo di un autore che ha impiegato tre anni ad immaginare».


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