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johnny Depp alla Festa del cinema di Roma

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LA GESTUALITA’ a tratti teatrale. La mimica da caratterista qual è, lo sguardo magnetico velato dagli iconici occhialetti blu. Rivoluzione dei linguaggi cinematografici, sfide nell’universo delle produzioni americane e la capacità di navigare a vista, come un capitano che sa guidare la sua ciurma, nell’oceano delle saghe che non sempre hanno una firma d’autore e sono piuttosto un riempitivo da blockbuster destinato al mainstream delle piattaforme pop.

Durante la Festa del Cinema di Roma, Johnny Depp si racconta in una masterclass all’Auditorium della Conciliazione, nella sezione autonoma e parallela “Alice nella Città” diretta da Fabia Bettini e Gianluca Giannelli. La star parla degli esordi, dei progetti rifiutati, del pirata dei Caraibi “Jack Sparrow”, un antieroe contro il colosso Disney, nonché della consacrazione con Edward mani di forbice del regista Tim Burton.

E sussurrando un dolce «Me too» a chi dalla platea gli urla «I love you!», è come se si riscattasse per una sera dalle accuse di violenza domestica mosse dall’ex coniuge Amber Heard, stella di Aquaman che non ha avuto la meglio in tribunale, dopo che il quotidiano inglese “The Sun” lo aveva definito “picchiatore di mogli”.

«Il mio approccio alla recitazione non è mai cambiato, le scelte attoriali sono volute. Parecchi i ruoli che ho rifiutato, numerose le proposte che gli agenti mi consigliavano di accettare perché erano interessati al guadagno facile. Agli Studios mi ingaggiavano quasi come se non sapessero nulla di me, della mia storia. Poi, è arrivato Jack Sparrow – spiega seduto sul palco tra gli applausi dei fan – Fino a quel momento non avevo fatto altro che crescere una figlia per tre anni e guardare cartoni animati. La cosa più bella, insieme a Sparrow, è stata la possibilità di infiltrare e invadere il campo nemico: la Disney. Sono riuscito ad impormi a Hollywood con i miei film grazie a voi, sarebbe sciocco per un attore non amare il proprio pubblico. Con Puffins, la serie d’animazione made in Italy prodotta da Iervolino & Lady Bacardi Entertainment su tematiche sociali e “green”, mi sono detto che avrei potuto interpretare un personaggio alla Bugs Bunny o Willy il Coyote. Volevo essere come loro, allargando parametri ristretti. Le pellicole hollywoodiane sono realizzate seguendo la struttura classica del primo, secondo e terzo atto, però si basano su formule standardizzate. Oggi, desidero creare prodotti filmici che diano l’opportunità di riflettere, trasmettendo un messaggio positivo. Di Puff, che ho doppiato, mi piaceva l’idea di esprimersi senza dialoghi risvegliando l’interesse di un bambino appena nato, mi sono domandato quali fossero i suoni e le immagini che ne potessero attirare l’attenzione regalando sorrisi. Quando io ero un ragazzino, all’ora di cena in televisione passavano la Guerra del Vietnam in diretta».

L’estetica dark, i trailer dei capolavori gothic-fantasy di Burton, dei quali è stato protagonista, scorrono alla sue spalle. Ma lui, che secondo i rumors sarà “Gomez” nel reboot de La famiglia Addams burtoniana, non presta attenzione al successo. «Ognuno conserva la propria infanzia, che tuttavia non lascia quel senso di sicurezza ricercato altrove. Nell’apprendimento e nell’affrontare il nostro “mestiere”, termine che detesto, non bisogna mai avere paura – risponde Johnny a chi gli chiede di rivelare il segreto di una carriera da urlo – Avevo un contratto settennale in un tv-show e ho fatto di tutto per farmi cacciare, sono addirittura finito in prigione per un periodo poiché pensavo di liberarmene. Lo consideravo un mero prodotto. Continuavano ad offrimi sceneggiature preconfezionate che, sistematicamente, rigettavo. Sognavo di fare l’attore alla mia maniera, altrimenti avrei lavorato come muratore o benzinaio. Ho aspettato tanto. Nel 1990 arrivò Cry Baby e capii che, forse, era possibile mettere il piede in un territorio a me congeniale. Successivamente li ho messi entrambi dentro tramite Edward mani di forbice».


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